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L'intervista | Mons. Castellucci, il virus, la Pasqua e le cose che contano davvero

Come vivere questo insolito tempo pasquale segnato dall'emergenza, dalla sofferenza e dall'isolamento? Cosa ricavare da questa esperienza drammatica? Lo abbiamo chiesto all'Ascrivescovo di Modena-Nonantola

Ci sarà un dopo, dopo il Coronavirus, dopo la malattia, le sofferenze e, purtroppo, le tante, troppe, morti. Un dopo fatto di convivenza col virus e di problemi legati alle conseguenze sull’economia e sulla società: dal modo di vivere di ognuno di noi a quello che sarà l’ordine mondiale. In mezzo una scala di valori e di colori. Temi intorno ai quali si dovrà pur riflettere per evitare di rifare gli stessi errori e per ritrovare il giusto equilibrio, sia personale che collettivo. Lo abbiamo fatto, ne abbiamo ragionato, con Don Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena e Nonantola, vicario di Carpi.

Intanto cominciamo con una domanda apparentemente semplice in realtà è molto complessa: come ha vissuto come sta vivendo il Vescovo questa situazione?

Direi come tutti, nel senso di rispettare le disposizioni, il più possibile alla lettera, come forma di rispetto anche per gli altri e poi di viverla proprio come una Quaresima che forse si prolungherà anche un po' dopo Pasqua. Insomma, come un tempo di condivisione della sofferenza e di ammaestramento: io sento che da quest'esperienza personalmente sto imparando molto, rendendomi conto meglio anche della situazione di alcune persone che, in queste settimane, sembra quasi esplodere. Penso ad alcune forme di povertà, penso a quello che è successo nel carcere di Modena dove si è scoperchiata una situazione di grande tensione, penso alle malattie, alle persone che stanno soffrendo, sia quelle malate di coronavirus, sia quelle che hanno altre malattie e che magari devono attendere tempi più lunghi per esami, interventi, cure. Penso, naturalmente, a chi ha perso dei familiari…

Però, d'altra parte, sto imparando da tantissime testimonianze come si reagisce con professionalità, ma anche con creatività, alle condizioni anche così emergenziali che stiamo vivendo. Lo dico naturalmente e prima di tutto in relazione a quelli che sono a contatto diretto con gli ammalati, sanitari e volontari, poi le forze dell'ordine, tutti gli operatori, anche della comunicazione, che vedo molto impegnati. Poi chi fa da mangiare, chi produce il cibo e altro di indispensabile che è rimasto sul posto di lavoro in una situazione obiettivamente molto difficile insomma. Ci sarebbe una lista lunga da fare, e ci metto anche i preti perché, direi quotidianamente, ho decine di contatti con le varie parrocchie di Modena e di Carpi, e sento che ciascuno ha cercato di riscrivere la propria attività pastorale cercando di stare vicino a chi è più fragile.

Tanti aspetti drammatici e anche tragici, alcuni li abbiamo anche citati, ma a me colpisce molto che in un colpo sia stata pressoché cancellata direi un'intera generazione…

Questo fatto drammatico ha anche tolto il velo alla fragilità degli anziani, dei molto anziani, alla loro esposizione al rischio anche prima del coronavirus. Penso, ad esempio, che nella sola diocesi di Parma sono morti 12 padri Saveriani in pochi giorni, erano quasi tutti perlomeno ultrasettantenni, tutti i missionari che erano stati decenni in tante parti del mondo. E poi, crudamente, ha molto colpito questa cosa del non poter celebrare un commiato come si dovrebbe.

Anche questo, infatti, è uno degli aspetti che feriscono di più, e cioè non poter stare vicino alle persone in un momento così umanamente speciale, pur nella sua drammatica ineluttabilità.

Io credo che sarà uno dei simboli di questa esperienza. In futuro, se la dovessero rappresentare, io penso che sceglierebbero fosse tre immagini, ci pensavo giusto oggi: l'immagine del medico e dell'infermiere con la mascherina visti dal basso, con gli occhi del paziente; l'immagine del papà, solo, in Piazza San Pietro; e l'immagine delle bare che vengono accompagnate solo da funzionari delle pompe funebri alla sepoltura.

Già, il Papa da solo in piazza San Pietro: effettivamente ha colpito moltissimo quell'immagine, molto di più di una piazza San Pietro piena di persone. Sarà una pasqua diversa, è una Pasqua diversa, quella che stiamo vivendo, il messaggio arriverà lo stesso secondo lei?

Credo sia una Pasqua diversa perché è una Pasqua dimessa: è una Pasqua quasi con la pietra che ancora non è proprio rotolata via del tutto dal Sepolcro, per ora si aprono solo degli spiragli. Ragionavo proprio in questi giorni intorno al messaggio Pasquale e lo dedicherò proprio alla pietra sul Sepolcro che si apre solo un po' alla volta. Il Vangelo dice che è stata ribaltata in un colpo, ma noi quest'anno sperimenteremo che bisogna guadagnarsela centimetro dopo centimetro. Un'immagine per dire che sarà certamente una Pasqua diversa, una Pasqua molto più silenziosa, più domestica e per alcuni anche più pesante. Perché chi ha subito dei lutti o chi è malato chiaramente la vivrà in modo diverso. Però la Pasqua annuncia comunque che c'è una Resurrezione, perché quegli spiragli che si vedono sono anche frutto dell'impegno corale che mi pare le persone stiano cercando di esprimere. E poi sarà una Pasqua anche di gioia per qualcuno, per quelli che ce l’hanno fatta, che sono guariti, per le loro famiglie. Fortunatamente ci sono anche queste.

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