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Malattie neurodegenerative, i ricercatori modenesi aprono una breccia nelle cure

Alzheimer, Parkinson, Corea di Huntington, Sclerosi Laterale Amiotrofica e Demenza Frontotemporale. Identificato da un team Unimore un sistema nucleare che smista e degrada le proteine danneggiate che penetrano nel nucleo. Lo studio pubblicato in questi giorni sulla prestigiosa rivista internazionale EMBO Journal

Uno studio effettuato dal gruppo di ricerca diretto dalla prof.ssa Serena Carra del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, ha identificato un sistema nucleare che smista e degrada le proteine danneggiate che penetrano nel nucleo. Questo risultato dimostra come alterazioni nello smistamento e degradazione da parte di specifici compartimenti nucleari di proteine danneggiate, le quali sono costantemente prodotte dalle nostre cellule, influenzino negativamente la stabilità del nostro genoma, con importanti ripercussioni sulla nostra salute. Pertanto, approcci farmacologici che permetteranno di mantenere l’equilibrio proteico nel nucleo, migliorando la funzionalità di questi compartimenti di smistamento, dovrebbero potenzialmente stabilizzare il nostro genoma, contrastando l’invecchiamento e la progressione di patologie neurodegenerative legate all’invecchiamento.

L’importanza della scoperta è sottolineata dal fatto che lo studio è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale EMBO Journal.

Numerose patologie neurodegenerative – ci ricorda la prof.ssa Serena Carra di Unimore - sono caratterizzate dall’accumulo di aggregati di proteine all’interno delle cellule. Ne sono esempi la malattia di Alzheimer, di Parkinson, la Corea di Huntington, nonché la Sclerosi Laterale Amiotrofica e la Demenza Frontotemporale. Questi aggregati contengono sia proteine geneticamente mutate ed associate a tali patologie, sia proteine che vengono costantemente sintetizzate dalle cellule e che però, a causa di svariati errori che avvengono durante il normale funzionamento cellulare, perdono la loro stabilità e funzionalità e si aggregano, causando effetti potenzialmente tossici. Le cellule del nostro organismo hanno evoluto dei sistemi di controllo che rilevano la presenza di queste proteine danneggiate e le rimuovono al fine di mantenere il buon funzionamento cellulare”.

In passato, la rimozione di queste proteine danneggiate dal citoplasma cellulare è stata ampiamente studiata. Invece, ad oggi i meccanismi che rimuovono le proteine danneggiate dal nucleo, che contiene il genoma umano, sono ancora poco chiari.

Su questo si è concentrato lo studio dei ricercatori modenesi, che ha permesso di arrivare alla identificazione di un sistema nucleare che smista e degrada le proteine danneggiate che penetrano nel nucleo.

Queste – spiega la prof.ssa Serena Carra di Unimore - vengono innanzitutto confinate in due compartimenti, i nucleoli ed i corpi PML, per poi essere smaltite grazie all’intervento di chaperoni molecolari, che fungono da guardiani delle nostre proteine. Condizioni che portano ad una ridotta funzionalità degli chaperoni molecolari e del sistema di degradazione del proteasoma, presente nel nucleo, causano la conversione di nucleoli e corpi PML in uno stato aggregato che sequestra importanti componenti nucleari, con ripercussioni negative sul mantenimento del genoma. Siccome le alterazioni dei sistemi di controllo delle proteine e l’instabilità del genoma sono implicati nello sviluppo delle malattie neurodegenerative, inclusa la Sclerosi Laterale Amiotrofica e la Demenza Frontotemporale, questi dati permettono di comprendere meglio i meccanismi patogenetici responsabili della progressione di queste patologie devastanti ed offrono nuovi bersagli molecolari per lo sviluppo di futuri approcci terapeutici”.

Alla ricerca, che ha ricevuto il sostegno economico di svariate agenzie, fra le quali in primis Fondazione AriSLA, ma anche Comunità Europea (JPND), Fondazione Cariplo, MAECI e MIUR, hanno collaborato la dott.ssa Laura Mediani ed il dott. Jonathan Vinet di Unimore, e il prof. Simon Alberti (Max Planck di Dresda, Germania)

A questa scoperta – sottolinea la prof.ssa Serena Carra di Unimore – mi piace ricordare, si è giunti grazie alla passione e perseveranza di personale altamente qualificato, che nonostante sia impegnato in queste delicate ricerche, non è assunto in modo stabilizzato”.

Ricerche di questa portata non sarebbero state possibili senza l’utilizzo di microscopia confocale avanzata, usufruendo di strumentazioni di punta e supporto tecnico specializzato disponibili presso il CIGS – Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti, di cui dispone Unimore. L’acquisto di tali strumentazioni è stato possibile grazie al cofinanziamento dell’Ateneo, della Cassa di Risparmio di Modena e del progetto Dipartimenti di Eccellenza 2018-2022 attribuito al Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze.

Non resta che sperare – conclude la prof.ssa Serena Carra di Unimore - che una politica lungimirante, anche a livello locale, riconosca l’impegno e la qualità del lavoro portato avanti dai nostri numerosi giovani ricercatori fra tante difficoltà e che ci si applichi a tutti i livelli al fine di attuare programmi di finanziamento meritocratici e trasparenti che permettano di stabilizzare la posizione di questi giovani ricercatori precari e portare avanti progetti di ricerca che come questo hanno un impatto internazionale, i quali altrimenti rischiano ad oggi di spegnersi nel loro momento di massimo splendore”.

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