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Cronaca Nonantola

Casalesi, la storia: "Io, imprenditore, lasciato solo contro la Camorra"

Pubblicata sull'Espresso un'inchiesta di Lirio Abbate sulla penetrazione della criminalità organizzata in Emilia Romagna: inquietante il racconto di un imprenditore attivo a Nonantola che ha denunciato le estorsioni degli uomini del boss Michele Zagaria

"Si sono insediati e infiltrati. Con calma, lentamente, in poco più di un decennio hanno fatto dell'Emilia Romagna l'ultima terra di conquista". Questo l'incipit dell'ultima inchiesta di Lirio Abbate pubblicata oggi sul settimanale l'Espresso: il noto giornalista ha analizzato il fenomeno del radicamento della criminalità organizzata nella nostra regione senza ignorare il caso modenese e gli ultimi fatti occorsi a Giovanni Tizian, il giornalista messo sotto scorta per i suoi articoli sulla 'ndrangheta al nord.

NONANTOLA - Secondo Abbate, proprio nella nostra provincia avrebbero avuto luogo gli episodi più gravi relativi all'infiltrazione e al radicamento della criminalità organizzata: "È quasi paradossale notare come la denuncia più importante sia venuta da due imprenditori campani trapiantati nel modenese" esordisce il giornalista dell'Espresso raccontando l'arresto del nucleo locale dei casalesi, incluso il padre del grande capo Michele Zagaria, tratto in arresto il 7 dicembre scorso. Furono i costruttori Raffaele Cantile e Francesco Piccolo a dire di no agli uomini del boss Zagaria, i quali imponevano il pizzo e prendevano il controllo delle aziende del luogo. "Ma solo i due costruttori campani hanno avuto il coraggio di andare dalla polizia", evidenzia Abbate che riporta una dichiarazione dello stesso Cantile: "I pm partenopei ci convocarono subito: volevano capire se eravamo dei matti".

APPUNTAMENTO - Nel 2007, prosegue Lirio Abbate, Michele Zagaria, all'epoca latitante, aveva chiesto un incontro all'imprenditore. Cantile si presentò all'appuntamento e dopo aver affrontato gli scagnozzi del boss, li denunciò. "I tre magistrati di Napoli - racconta il costruttore - durante l'interrogatorio mi chiedevano: perché fate gli imprenditori a Modena? E perché denunciate? E come mai due giovani riescono a fatturare 20 milioni? Spiegai tutto il percorso imprenditoriale che per più di un decennio, da quando avevamo 19 anni, ci aveva portato in giro per l'Italia a partecipare a centinaia di appalti pubblici e che per un gioco del destino professionale, ma anche per un fattore sentimentale, siamo rimasti a Nonantola".

TESTIMONIANZA - Nonostante il coraggio e la dimostrazione di virtù civica, Raffaele Cantile è rimasto solo: "In Emilia Romagna molti vogliono sottacere il fenomeno delle mafie per tenere pulito il nome del territorio o per dimostrare la buona amministrazione - continua il costruttore - Nessun sindaco vorrà mai ammetterlo, ma la mafia qui c'è. Dopo le intimidazioni e le bombe che ci hanno messo nei nostri uffici, e dopo le denunce contro Zagaria, non abbiamo ricevuto alcuna solidarità dall'amministrazione pubblica. Solo Confindustria Modena, l'Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) e la polizia ci sono stati accanto". Lirio Abbate mette in risalto come questo imprenditore coraggioso sia stato abbandonato a se stesso: amministratori locali e dirigenti di banca avrebbero cominciato a calunniarlo assieme a Francesco Piccolo, marchiandoli come “camorristi”, revocando fidi sulla base di voci false, creando così un danno alla loro impresa. Per il giornalista dell'Espresso, oggi Cantile a Nonantola appare mortificato, ma capace di sferrare attacchi: "I politici organizzano convegni sulle mafie, con tante belle parole per combatterle, ma nei fatti non si concretizzano".

PROFESSIONISTI - Come denunciato a più riprese dalla Procura e dagli stessi ordini professionali, a fare da sponda per le organizzazioni criminali ci sono anche i colletti bianchi: Abbate conclude il suo lungo articolo ricordando come a Modena un  avvocato, Alessandro Bitonto, per punire due persone dalle quali aveva subito un torto, fece ricorso a clienti “casalesi”. Le vittime, convocate nel retrobottega di un bar vennero picchiate a sangue davanti al legale. Il giorno seguente, l'avvocato chiamò tutto soddisfatto uno degli aggressori: "Devo ringraziarti personalmente perché ieri ho avuto una lezione di vita, nel modo di ragionare".

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