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Cie Modena, il garante Desi Bruno: "Ora farne sede lavoro per i detenuti"

"La chiusura è un fatto positivo - afferma il garante - e costituisce la presa d'atto di una situazione non più sostenibile per le persone trattenute e per coloro che vi lavoravano"

"Sfruttare la struttura per le misure alternative al carcere, a partire dal lavoro per i detenuti". Così Desi Bruno, garante regionale dei detenuti dell'Emilia Romagna, che in una nota esprime apprezzamento per la decisione del ministero degli Interni di chiudere il Cie di Modena: "La chiusura è un fatto positivo - afferma il garante - e costituisce la presa d'atto di una situazione non più sostenibile per le persone trattenute e per coloro che vi lavoravano". Ora "sarebbe ragionevole che la struttura, per la vicinanza al carcere, fosse utilizzata per favorire l'accesso a misure alternative mediante la creazione di alloggi o impiegata per attività lavorative".

La garante non dimentica le "condizioni di degrado e di violazione dei diritti umani" all'interno del Cie modenese, "in particolare dopo l'assegnazione all'ultimo ente gestore a seguito di una gara al massimo ribasso con base d'asta fissata in 30 euro pro-capite, che ha provocato un netto peggioramento del clima all'interno, con incremento degli atti di autolesionismo e aumento della conflittualità". Per Desi Bruno è "doverosa la chiusura del Cie di Modena, se a queste persone non si riesce ad assicurare un trattamento umano e rispettoso della dignità", ovvero "cibo, vestiario, assistenza medica e psicologica, mediazione culturale, come prevede la legge". Ma è anche "utile chiedersi quale sia l'utilità di Centri che non sono comunque in grado di espellere una quota infinitesimale di stranieri irregolari rispetto ai numeri complessivi, nonostante il Cie di Modena avesse la percentuale più alta di espulsioni a livello nazionale", e che "necessitano di importanti risorse destinate spesso a improbabili enti di gestione, che sottraggono forze dell'ordine al territorio".

Secondo il garante dei detenuti Desi Bruno, è giunto il momento per una "riflessione" più ampia "sul tema dei migranti e sulla funzione e utilità di questi Centri". Inoltre, bisognerebbe insistere sulla necessità di "lavorare su altri fronti, come il rimpatrio assistito, la corretta identificazione delle persone da espellere in carcere, come prevede l'ultimo decreto Cancellieri, espulsioni che si realizzano se e in quanto esistano e siano operanti gli accordi di riammissione con i Paesi interessati. Ma soprattutto - avverte Bruno - bisogna ripensare il meccanismo di ingresso previsto dalla legge Bossi-Fini, che condanna alla clandestinità e quindi al trattenimento ai Cie, nonchè dare piena attuazione alla Direttiva Ue 115 del 2008".

Nei Cie, ricorda la Garante, vengono rinchiusi gli stranieri irregolari in attesa di essere allontanati dall'Italia, non per aver commesso reati. "Si tratta di una condizione di privazione difficilmente accettata dalle persone che la subiscono- sottolinea Bruno - sia che provengano dal carcere, e che quindi abbiano già scontato la pena inflitta per i reati eventualmente commessi, sia per le persone che sono al Cie per non essere muniti di permesso di soggiorno o perchè lo stesso è scaduto e non è stato più rinnovato, anche solo per la perdita di un lavoro. A ciò si accompagna quasi sempre il fallimento del progetto migratorio che aveva accompagnato l'abbandono del Paese d'origine, con tutto ciò che comporta di drammatico il dover ritornare indietro".

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