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Cronaca

L'ipercolesterolemia potrebbe essere ereditaria, UniMoRe in una ricerca internazionale

UniMore ha preso parte ad uno studio di ricerca internazionale sulle origini dell'ipercolesterolemia. Secondo gli studi sembra che sia conseguenza di geni bassi frutto di un'eredità poligenica

Le prestigiose riviste scientifiche Circulation Cardiovascular Genetics e Journal of Medical Genetics hanno pubblicato i risultati di due consorzi, uno americano e uno inglese, sugli studi di ricerca circa l' ipercolesterolemia. Tra i collaboratori dei consorzi c'erano anche la proff. Patrizia Tarugi del  Dipartimento di Scienze della Vita e del prof. Sebastiano Calandra del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze di Unimore.

ECCO LA SCOPERTA. Gli studi italo-statunitense-inglese sembrano indicare, con una relativa certezza, che nel nostro genoma non vi sono altri geni “maggiori”, ovvero a grande impatto biologico sul metabolismo del colesterolo, in aggiunta a quelli già conosciuti. Entrambi gli studi hanno evidenziato che in numerosi pazienti la condizione deriva dalla combinazione di numerose mutazioni a basso impatto biologico presenti in una costellazione di geni “minori” già conosciuti o in via di caratterizzazione (eredità poligenica). 

I RISULTATI DEGLI STUDI. Il secondo consorzio a capofila “inglese”  aveva come riferimento il Sanger Institute di Cambridge e il Cardiovascular Genetics Centre dell’ University College di Londra (UK) e  comprendeva 20 ricercatori (da UK, Australia, Canada, Irlanda,  Israele, Belgio ed Italia). Per l’Italia partecipavano i gruppi del prof. Stefano Bertolini dell’Università di Genova ed il prof. Sebastiano Calandra del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze di  Unimore. Il consorzio americano ha analizzato il DNA di 240 pazienti (iper- ed ipo-colesterolemici)  mentre il consorzio inglese ha analizzato il DNA di 125 pazienti (solo ipercolesterolemici). I risultati del consorzio americano sono stati pubblicati sulla rivista Circulation Cardiovascular Genetics, mentre quelli del consorzio inglese erano pubblicati sul Journal of Medical Genetics

Si deve quindi escludere definitivamente l’ipotesi che esistano “nuovi geni maggiori” che controllano il colesterolo nel sangue, le cui mutazioni hanno un effetto biologico importante? No – risponde la prof. Patrizia Tarugi di Unimore -  semplicemente perché il nostro approccio può avere avuto limiti oggettivi sia tecnologici (una piccola parte del DNA non è al momento esplorabile in modo adeguato) sia legati alle dimensioni delle famiglie dei pazienti che siamo riusciti a reclutare. Solo il reclutamento di grandi famiglie ci può consentire di verificare se eventuali mutazioni di geni ignoti siano presenti nei soggetti affetti e assenti in quelli non affetti, al di là di una distribuzione dovuta al caso. Ciò significa che c’è ancora molto da fare, e non ci arrenderemo di certo a fronte di questo “insuccesso” delle nostre aspettative. La pubblicazione di studi “negativi” può essere stimolo a ri-orientare le ricerche ed aggiornare le metodologie impiegate per raggiungere specifici obiettivi. Inoltre lo studio funzionale di geni “minori” ci consentirà di comprendere meglio la complessità dell’eredità poligenica e le sue interazioni con fattori non genetici come la dieta e gli stili di vita che possono influenzare il metabolismo del colesterolo”.

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