rotate-mobile
Dalla Rete

Tunisia: il quinto anniversario della rivoluzione, visto da Modena

I Tunisini di Modena ricordano la “rivoluzione dei gelsomini” che esattamente cinque anni fa sconvolse il paese e portò ad un effetto domino contagiando parte dell'Africa settentrionale e del Vicino Oriente. Di Gaetano Gasparini

Una gigantografia che ritrae Mohamed Bouazizi domina una delle piazze centrali di Sidi Bouzid, dove l'icona della rivoluzione tunisina si è immolato il 17 dicembre 2010. Ma cinque anni dopo la rivoluzione dei “gelsomini”, l'orgoglio ha lasciato il posto alla delusione e al risentimento, sentimenti alimentati dalla miseria sociale e dalla minaccia jihadista che incombe sul paese.

"La rivoluzione? Non ha portato a nessun miglioramento tangibile per la popolazione", dice Nessim un giovane tunisino-modenese di seconda generazione originario proprio di Sidi Bouzid.  Modena conta circa 1200 residenti di origine tunisina: rappresentano il terzo gruppo etnico più numeroso della città proveniente dall'Africa, dopo la comunità marocchina e quella ghanese.  Nessim ha uno zio che vende vestiti usati al mercato e una cugina laureata in chimica disoccupata, entrambi residenti a Sidi Bouzid:”La libertà acquisita con la rivoluzione è senza dubbio una conquista importante, un punto da cui ripartire, ma non dà cibo al popolo".

Il 17 Dic 2010, Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante ventiseienne esasperato dalla precarietà e dagli abusi della polizia, si dava fuoco, innescando un'ondata di rivolte che avrebbero rovesciato in quattro settimane il dittatore Zine El Abidine Ben Ali diffondendosi poi rapidamente in gran parte del mondo arabo. Nella piccola repubblica maghrebina scoppia la prima rivoluzione della cosiddetta “Primavera araba”, l'unica che è riuscita a compiere passi in avanti nella sua transizione democratica. Questi sforzi sono stati premiati con un Nobel per la pace nel 2015, assegnato proprio alla costruzione democratica in Tunisia. 

Diventato icona della rivoluzione, Bouazizi era ben lontano dall'immaginare che il suo atto avrebbe generato insurrezioni nel mondo arabo.  “La sua morte è la storia di un giovane diplomato, lavoratore precario, schiacciato dall'autoritarismo delle forze di sicurezza, dalla povertà diffusa, dal disprezzo dell'autorità, dalla mancanza totale di prospettive e dall'opprimente sensazione che la vita sarà misera fino alla fine”, spiega Jilani un tunisino di 50 anni che frequenta il grande centro islamico di via delle Suore.

La Tunisia è un'eccezione nel quadro delle cosiddette “Primavere arabe”. In Egitto l'esercito non ha mai rinunciato al potere: dopo la cacciata di Hosni Mubarak, l'ultimo faraone presidente per oltre 30 anni, e l'esperimento dei Fratelli Musulmani al governo, il generale al Sissi ha “ripristinato” le ragioni dei militari soffocando il dissenso e le aspirazioni democratiche. In Libia dopo la caduta e la morte di Muhammar Gheddafi (20 ottobre 2011) la guerra non si è mai conclusa. Oggi il paese è spaccato in due e al fazionalismo tribale dei signori della guerra si è aggiunto negli ultimi tempi un nuovo e pericoloso attore: il ramo libico dell'Isis. I pick-up toyota e le bandiere nere del califfato hanno raggiunto le coste della Cirenaica.  

Che dire poi della Siria? Un paese dilaniato da quasi cinque di guerra civile, conflitto in cui hanno perso la vita circa mezzo milione di persone con milioni di civili in fuga. Ci sono poi scenari meno conosciuti come lo Yemen in cui l'effetto della Primavera araba ha portato al defenestramento del presidente Ali Abdullah Saleh in carica per decenni: nel paese ora infuria una guerra settaria fra sciiti e sunniti. Cosi anche in Bahrein dove la maggioranza imamita rivendica maggiori diritti ad una monarchia semi-assoluta di matrice sunnita. 

La Tunisia è quindi l'unico paese ad avere compiuto il passaggio successivo di ogni rivoluzione democratica vincente, ovvero una transizione verso il pluralismo politico.  Ma l'economica non decolla: a livello nazionale il tasso di disoccupazione supera il 15% raggiungendo il 40% tra i giovani diplomati di alcune zone cronicamente depresse dell'interno del paese come Sidi Bouzid., un governatorato con circa 400.000 abitanti.

I Tunisini residenti a Modena, circa 1200, sono divisi sulla figura dell'ex dittatore Ben Ali e della sua famiglia, per oltre vent'anni al potere.  “Era il peggior regime di tutta l’Africa settentrionale: una banda di ladri e di mafiosi al governo il cui livello di corruzione aveva superato la soglia della decenza”, sostiene Khalid, proprietario di una kebabberia sulla via Emilia.  Khalid è fiero del ruolo insolito del suo piccolo paese che ha innescato un processo a catena di dimensioni internazionali. “Ma le rivolte potevano cominciare in qualsiasi altro paese, le società arabe sono molto giovani e l’odore di un sollevamento popolare era nell’aria già da qualche anno”. Una pentola a pressione che doveva scoppiare quindi.

“Cosa l'abbiamo fatta a fare la rivoluzione se le disuguaglianze sociali perdurano? Si stava meglio quando si stava peggio”, dice invece Mustafa. All'entrata del suo negozio di alimentari halal, a due passi dalla stazione ferroviaria, il giovane tunisino aggiunge:”non voglio glorificare la persona di Ben Ali ma i risultati economici non ci sono. Non è cambiato nulla, anzi i prezzi dei beni di consumo sono aumentati. Ricordiamoci che il motore della rivoluzione è stato soprattutto il malcontento popolare generato dalla povertà diffusa: all'inizio delle rivolte i manifestanti scendevano in piazza con la baguette in pugno per reclamare pane e solo secondariamente diritti civili e politici”. 

Intanto alla crisi economica che morde si è aggiunta la minaccia alla sicurezza dello Stato e ai suoi interessi. Il paese è stato colpito tre volte quest'anno da gravi attentati terroristici firmati dall'Isis. Nel mirino degli jihadisti c'è l'industria del turismo, settore chiave dello sviluppo economico tunisino che ha perso il 30% del suo giro d'affari nel 2015, secondo le stime del ministero del tesoro del paese maghrebino.  Il governo della neonata democrazia tunisina ha retto il colpo degli attentati al museo nazionale del Bardo e della strage nella spiaggia di Sousse ma appena il mese scorso la decapitazione di un pastore di 16 anni nel zona di Sidi Bouzid ha inorridito nuovamente il paese. Un'uccisione barbara anch'essa rivendicata dall'Isis: il giovane era stato accusato, processato e giustiziato perché sospettato di essere una spia.  

Prezzi aumentati, disoccupazione ancora altissima, democrazia fragile e minaccia alla sicurezza sono il pane quotidiano dei tunisini di oggi. Frustrati dal corso degli eventi il sentimento che prevale fra i tunisini di Modena è la delusione. Una rivoluzione germogliata nella piccola repubblica nordafricana i cui fiori sembrano già appassiti:“Che cosa l'abbiamo fatta a fare la rivoluzione se il popolo soffre ancora la fame, a cosa ci serve la libertà e la democrazia se i nostri figli non trovano lavoro?”, ripete Mustafa. 

di Gaetano Gasparini

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Tunisia: il quinto anniversario della rivoluzione, visto da Modena

ModenaToday è in caricamento