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Giovedì, 18 Aprile 2024
Economia

"Commercio, ecco come si vive nell'età delle liberalizzazioni"

Riceviamo e pubblichiamo integralmente la testimonianza di Andrea Corradi, commerciante modenese che racconta la via crucis a cui sono sottoposti i piccoli negozi a di causa turni estenuanti e aperture obbligate

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ModenaToday

A 36 anni, otto anni fa, ho lasciato un lavoro cosidetto “sicuro” da impiegato e ho intrapreso la professione di imprenditore aprendo un’attività commerciale assieme a mia moglie, all’interno di un centro commerciale. I primi anni sono filati via lisci, l’attività è cresciuta e c’è stato spazio anche per due dipendenti. Poi la crisi che ben conosciamo, implacabile, ma non solo quella. Da Gennaio 2012 il decreto Salva Italia dell’allora governo Monti ha introdotto, di punto in bianco, la completa liberalizzazione del commercio in termini di orari e giorni lavorativi. La Grande Distribuzione ha preso la palla al balzo e nel centro commerciale dove lavoro si è deciso di tenere aperto sempre. 7 giorni su 7, 12 ore al giorno pena multe salatissime.

La mia vita è cambiata, come quella di tanti altri colleghi e dipendenti del settore. Ad un tratto, da arbitro della mia vita professionale, mi sono sentito obbligato a vivere un’esistenza pre-confezionata che qualcuno ha deciso per me. L’aumento delle ore di apertura, il relativo aumento dei costi di gestione, il calo dei consumi generalizzato hanno reso precario non solo il mio futuro, ma anche quello dei miei dipendenti e della mia famiglia. E’ subentrato un senso di abbandono, di solitudine, di continua tensione. La mia vita è peggiorata.

Mi sono reso conto, all’improvviso, dell’impossibilità di programmare qualsiasi cosa nel tempo libero, di non aver più  il giusto tempo da dedicare alle cure familiari e che va peggio per le donne, per chi ha figli, per chi una vita se la deve fare come i giovani. I problemi di tutti i giorni e buona parte della cura dei figli sono scaricati su parenti, amici, costose baby sitter. In questo mondo del lavoro viene minato l’equilibrio della famiglia e il disagio non è avvertito solo dal lavoratore ma da tutte le persone a lui vicino. L’attuale situazione la ritengo un insulto alla nostra identità. 

Dove è finita la Modena del “buon vivere”? Non condivido il modello culturale secondo cui fare compere è  un piacere, un modo di occupare il tempo libero. Vorrei la Modena della spesa, non quella dello “shopping”. La nostra identità e la nostra cultura le vedo rappresentate principalmente dai negozi di vicinato, spesso a conduzione familiare che, ovviamente,  non possono continuare a rimanere aperti sempre e comunque. Negozi che rappresentano ancora uno stile di vita a misura d’uomo, forse non più di moda per qualcuno, ma che ai modenesi sono certo continuano a piacere. Una città  non è fatta solamente da un insieme di attività slegate l’una dall’altra, ma da una rete di relazioni e di condivisioni che danno vita alla convivenza. E nella convivenza occorre che ci sia spazio per un interesse collettivo dove venga tutelata in primis l'unità della famiglia. Le famiglie non sono solo quelle dei consumatori. Esse, tutte, costituiscono il nucleo fondante della nostra società e per questo vanno tutelate sotto tutti i punti di vista: un settore liberalizzato come quello del commercio ha bisogno al più presto di regole chiare e trasparenti, che garantiscano si la concorrenza, ma anche la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Una valida soluzione era già stata trovata, quella delle aperture domenicali a rotazione, soluzione mai attuata, calpestata dalla deregulation vigente. Il commercio dovrebbe rinascere all’interno di un nuovo umanesimo che sappia valorizzare la responsabilità sociale dell’impresa, che sia volto alla conciliazione della persona, della famiglia, del lavoro, del buon vivere e non in un mondo in cui è cosa eccezionale poter trascorrere una domenica in famiglia, o che obbliga a dover organizzare la propria vita basandosi sulla disponibilità di nonni e vicini, in un mondo dove la domenica gli asili sono chiusi e i trasporti pubblici ridotti.

Le liberalizzazioni selvagge hanno fallito tutti i loro obbiettivi, in termini di occupazione, crescita e concorrenza, favorendo di fatto la Grande Distribuzione a scapito del piccolo e medio commercio. Un’attività  commerciale che chiude i battenti è una perdita per tutti. Ricordiamocelo.

Andrea Corradi (commerciante)

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