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Mafie, Cgil: "Procedure inadeguate per salvare beni sequestrati"

La lettera di Franco Zavatti: "Trascinare per anni l’assegnazione definitiva di imprese o beni sequestrati, significa quasi sempre degrado di patrimoni, perdita di valore dei beni, chiusura di attività delle imprese confiscate"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ModenaToday

Partirà a breve la raccolta firme sostenuta da Libera, Cgil e da un vasto schieramento di Associazioni civili e delle imprese a sostegno di una Legge di iniziativa popolare per migliorare la normativa esistente in materia di reale salvaguardia e utilizzo sociale dei beni/immobili sequestrati e confiscati alle mafie.

In particolare, è gravissimo ed insostenibile - per di più in una situazione di grave crisi economica ed occupazionale - lo stato di non gestione di aziende e imprese confiscate alla malavita organizzata. 
Il tema è scottante perché trascinare per anni l’assegnazione definitiva di imprese o beni sequestrati, significa quasi sempre degrado di patrimoni, perdita di valore dei beni, chiusura di attività delle imprese confiscate, e quindi una perdita complessiva di risorse sottratte alle mafie, con uno scadimento del valore etico, morale ed economico della battaglia contro l’infiltrazione nell’economia legale. Le mafie si bloccano colpendo duramente i loro affari, risorse, legami e patrimoni. I dati sono eloquenti, sia a livello nazionale e sia in Emilia Romagna. Sono 11.950 gli immobili e 1.515 le imprese sotto sequestro in Italia. L’Emilia-Romagna è ampiamente coinvolta nel fenomeno. Qui, le mafie investono e riciclano ingenti risorse in affari illegali e nell’economia legale.

L’Emilia-Romagna, fra tutte le tredici regioni a nord del Lazio, ha il 3° posto - dopo Lombardia e Piemonte - con 85 immobili confiscati ed è al 2° posto, dopo la Lombardia con ben 25 aziende/imprese sotto confisca. I dati ci sono stati confermati pochi giorni fa nel corso di un incontro presso la Prefettura di Bologna per fare un quadro regionale.

Valutando gli elementi emiliano-romagnoli forniti dall’Agenzia Nazionale sui Beni Sequestrati e Confiscati – ANBSC, emerge una situazione variegata e che riguarda una trentina di abitazioni, una quindicina di terreni, una ventina di locali ed esercizi pubblici, ed il resto capannoni e fabbricati in genere.

Praticamente sono interessate quasi tutte le province della regione e quei patrimoni con iter che durano qualche anno sono per l’80% ridestinati e consegnati a rinnovate gestioni di Enti pubblici per utilità sociale e collettiva. Ma la lunghezza dei procedimenti giudiziari e burocratici tra l’evento di sequestro e la definitiva confisca, causa spesso il loro grave degrado.

E' stato sventato all’ultimo momento un emendamento al recente decreto Milleproroghe che prevedeva un’inaccettabile spinta alla svendita e liquidazione dei patrimoni confiscati. Limitarsi al “fare cassa” con i patrimoni presi alle mafie, anziché facilitarne il recupero all’utilizzo sociale, depotenzia il forte segnale di superiorità civile ed economica della legalità. Ancor più grave e preoccupante il quadro che riguarda le aziende sequestrate e confiscate, a livello nazionale così come nei nostri territori.

Tra lungaggini procedurali, inerzie manageriali e colpevoli blocchi creditizi dalle banche, il 95% delle aziende va in liquidazione e fallimento, con la perdita complessiva di circa 80.000 posti di lavoro. Quando un’azienda confiscata è lasciata andare verso la chiusura, oltre al danno economico ed occupazionale evidente, c’è l’amara sconfitta del sentirsi dire “almeno prima, coi mafiosi, avevamo un posto di lavoro”!

In Emilia- Romagna, fatte le dovute proporzioni, il quadro è quasi peggiore. Nel sintetico rapporto che ci è stato passato, si legge “per quanto riguarda le 25 aziende confiscate, si evidenzia che tutte risultano essere inattive…le due in provincia di Ferrara, le tre in provincia di Rimini, le diciotto di Bologna e le due modenesi”. Anche qui da noi, i settori di attività sono “tipici”delle imprese infiltrabili: costruzioni, alberghi e ristoranti, attività immobiliari, noleggio, attività finanziarie, ingrosso commerciale. Per lo più sotto forma di “società a responsabilità limitata o Spa”. 

Così, anche per le due ditte confiscate nella nostra provincia,una in comune di Modena e l’altra di  Formigine. E’ un esito troppo negativo ed annunciato, dai tempi troppo lunghi (dai sei ai nove anni), quello dell’iter che porta dal sequestro alla confisca, poi alla inevitabile chiusura dei battenti: cancellazione dal registro imprese. Così si legge nel rapportino. 

Il Sindacato chiede con forza di agire diversamente per salvare attività economiche e lavoro. Occorre uscire da una logica di rassegnazione, accorciare i tempi, attivare Tavoli con le forze sociali e produttive presso le Prefetture - previsti e mai convocati - definire garanzie sui crediti bancari, nominare Amministratori giudiziari con esperienze manageriali, per gestire la continuità produttiva e non la liquidazione. Solo così si potrà ancora salvare il salvabile e cioè le imprese emiliane sequestrate alle mafie che stanno boccheggiando in attesa della definitiva confisca.

Come l’hotel King Rose di Granarolo, dove lavorano venti dipendenti, che ha finito di ospitare temporaneamente i nostri terremotati ed ora sta chiudendo. Stessa cosa per l’impresa agro industriale di Russi nel ravennate, con una ventina di lavoratori, che mentre attende la sentenza rischia di arrivare prima la chiusura.

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