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Ferragosto festa del raccolto “amaro”, quasi dimezzati i frutteti

Confagricoltura: «L’Emilia-Romagna ha perso il 43% dei frutteti in 20 anni. Chi adesso conferisce pesche, percepisce 10-19 cent/kg a fronte di un costo di produzione medio di 50 cent/kg»

Se il Ferragosto degli antichi romani fu istituito come festa per celebrare i raccolti, ormai la ricorrenza estiva lascia a bocca asciutta i produttori agricoli locali.  Dal 1994 ad oggi, la superficie dedicata alle colture arboree in regione si è pressoché dimezzata passando da 99.438 a 57.559 ettari, ossia l’Emilia-Romagna ha perso quasi il 43% dei frutteti nonostante sia migliorata la produttività per ettaro. In particolare la superficie coltivata a pesche è crollata da 20.988 a 6.106 ettari e quella a nettarine da 17.728 a 8.563; la pericoltura ha cancellato quasi 10.000 ettari di impianti ridimensionando le sue coltivazioni da 30.715 a 20.095 ettari e la melicoltura si è ridotta addirittura da 11.733 a 4.821 (fonte Rapporto Agroalimentare Regione-Unioncamere).

«Si parla tanto di politiche ambientali, rimboschimento e realizzazione di aree verdi per ridurre l’emissione in atmosfera di gas clima alteranti (in primis anidride carbonica) e contrastare il cambiamento climatico poi però – osserva il presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, Gianni Tosi - questi bei propositi sembrano svanire quando il disastro diventa doppio e si assiste alla scomparsa di un comparto strategico per l’economia regionale». Il tavolo ortofrutticolo nazionale convocato a settembre dal Mipaaf? «È un primo passo – dichiara il presidente degli imprenditori agricoli – ma agli incontri devono poter partecipare anche le rappresentanze agricole cioè tutti i produttori, non solo quelli organizzati in strutture. Con l’intento di giungere ad una aggregazione piramidale costituita alla base dalla platea di frutticoltori e, sopra, dalle strutture di condizionamento (private e cooperative); all’apice, invece, dovrebbe ergersi un organismo unico deputato alla commercializzazione di ogni specie frutticola, in grado di fare sintesi e portare alla condivisione delle regole produttive-organizzative».

Un Ferragosto, dunque, da dimenticare per i produttori dell’Emilia-Romagna che si trovano a fare i conti con i primi listini, indicativi, riferiti al conferimento del prodotto. Lo scenario non lascia dubbi: le colture arboree stanno cedendo il passo di fronte alla crisi dei prezzi dovuta alla scarsa competitività della frutta italiana rispetto a quella estera e alla maturazione in contemporanea di svariate varietà, accelerata dal clima africano, che ha creato un parziale eccesso di offerta sui mercati. In più, quest’anno, sono lievitati i costi di produzione soprattutto per l’aggravio derivante dal consumo di energia elettrica. «L’irrigazione di soccorso è costata 5 centesimi in più al chilo e non è bastata perché la pianta ha sofferto comunque delle ondate di calore. Così il calibro raccolto è risultato lontano dallo standard valorizzato dal mercato e richiesto dal consumatore. Chi adesso conferisce il prodotto, fa i conti con prezzi che vanno dai 47 ai 52 centesimi/kg per le pesche gialle di eccellente pezzatura, ma non ce ne sono. Infatti la maggior parte dei frutti raccolti si ferma al calibro B e C, con quotazioni dai 10 ai 19 cent al chilo quando i costi di produzione si aggirano in media sui 50 cent/kg (fonte CRPV e Unibo)» spiega il presidente regionale degli imprenditori agricoli. Le albicocche? «Quelle superiori ai 55mm di diametro sono prezzate anche 1.10 euro/kg ma si contano sulle dita di una mano... Molte sono piccole, fuori standard, che possono essere destinate solo all’industria e valgono dai 4-6 cent/kg. Difficile far quadrare il bilancio – sottolinea Tosi – se produrle costa mediamente sui 65-75 centesimi al chilo (fonte CRPV e Unibo)».

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