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Cultura

Magner Bein | I 5 prodotti gastronomici modenesi di origine medioevale

Un viaggio attraverso i 5 prodotti della gastronomia modenese che affondano le proprie ragioni nelle tradizioni e nelle leggende medioevale

La tradizione culinaria modenese, come per molti altri territori della nostra penisola, è stata fortemente influenzata dalla cultura enogastronomica del periodo medioevale, durante la quale la tradizione romana ha incontrato quella dei popoli cosiddetti barbari.

Il Tortellino

Se il tortellino sia modenese o bolognese è uno dei grandi dilemmi del nostro territorio. E dietro a tale quesito si cela una leggenda risalente al 1200. La storia è ambientata a Castelfranco Emilia, un paese tra i due capoluoghi. All'epoca, in una locanda chiamata Corona, si fermò a dormire una bella Marchesina, il locandiere accompagnò la dama in camera e attratto da lei la guardò dallo spioncino della porta. Di tutto il corpo rimase colpito dal suo ombelico, e preso dall'euforia lo riprodusse grazie alla sfoglia. In realtà questo prodotto è noto anche come l'Ombelico di Venere, infatti secondo la ricostruzione dello scrittore modenese Alessandro Tassoni, nella sua Secchia Rapita, quell'evento avvenne la notte della battaglia di Zappolino e al poto della Marchesina vi era proprio la dea Venere. E dato che in quel momento Castelfranco Emilia era sotto il dominio dei modenesi, anche il tortellino sarebbe di fatto modenese. 

Il Borlengo

Il Borlengo o burlengo che si voglia, ha un nome che evidentemente deriva dalla parola "burla", cioè lo scherzo e a riguardo sono nate diverse teorie. Infatti, per alcuni l'alimento veniva mangiato a carnevale e quindi prendeva il nome di "cibo per burla", per altri la burla risiedeva nel fatto che il borlengo è una pietanza voluminosa, anche se in realtà è leggero e sottilissimo. Oggi il museo del Borlengo ha sede a Zocca insieme alla compagnia della cunza, cioè l'associazione per la cultura e la conservazione di questa antica tradizione, ma in realtà i primi documenti risalenti al 1266 sono stati ritrovati a Guiglia. A creare ancora più mistero è la circostanza ambigua in cui vennero rinvenuti, infatti era appena finito l'assedio delle truppe guelfe modenesi contro gli Algani, i quali avevano resistito per giorni e giorni. A fare chiarezza furono le truppe degli assedianti che scoprirono come Ugolino da Guiglia e la famiglia Grasolfi fossero sopravvissuti così a lungo grazie ad ostie di farina ed acqua impastata, cotte ed insaporite da erbe. Alla fine avevano ceduto al nemico perché con il protrarsi della guerra la farina iniziò a scarseggiare e dovettero fare ostie sempre più piccole. 

. Scendendo lungo il Panaro, a Vignola, la leggenda vuole che tale alimento sia stato preparato in circostanze simili, ossia durante l'assedio del castello governato da Iacopino Rangoni, avvenuto nel 1386 ad opera dell'esercito del conte Giovanni da Barbiano, alleato di Isacco e Gentile Grassoni. Un'origine più incerta invece è quella che si tramanda a Zocca, dove i borlenghi scaturirono da una frode vera e propria. Si narra infatti di un bottegaio che nei giorni di mercato vendeva pane e focacce, allungando però l'impasto con acqua a seconda del numero di avventori. Altro caso è invece quello di Montobraro che racconta di un signorotto locale che avrebbe servito una pietanza di sottile sfoglia a conoscenti ed amici, promettendo a loro un pasto abbondante, e questi rimasero così contenti dell'alimento che si autoinvitarono altre volte.

Il Bensone

Se sei di Modena non puoi non aver mangiato almeno una volta il bensone. E' il dolce da vino più famoso della nostra tradizione ed è perfetto per concludere un pranzo in compagnia di amici e parenti. Il belson ha origini medioevali, già nel XIII secolo era presente nella comunità modenese e il 1° Dicembre, durante il giorno di Sant'Eligio, patrono dei fabbri e degli orafi, la comunità modenese lo offriva in dono alla Corporazione di questi artigiani. C'è invece chi dice che abbia origini nella Bassa Modenese e ch eil suo nome deriverebbe dalla sua composizione di crusca, infatti il nome Belson o Busilan ha un'etimologia suggestiva in quanto viene legata alla ritualità della sua presenza sulla tavola in certe occasioni religiose, come per esempio il Sabato Santo. Forse deriva dal francese "pain de bendson" che si riferirebbe alla presenza tra gli ingredienti della crusca, infatti era tipico dei dolci dell'epoca usare farina non setacciata. 

Per altri invece l'originario bensone era fatto di farina, uova, burro, latte e persino miele, a dimostrarlo sarebbe Sigismondo Margraff che nel 1747 scoprì nella Beta Vulgaris l'esistenza del saccarosio. Una cosa però è rimasta invariata, oggi come ieri il bensone arriva in tavola alla fine del pranzo, quando i bicchieri di lambrusco sono ancora da vuotare completamente. Si inzuppa il dolce nel bicchiere facendo sì che prenda il colore viola del vino. Una tradizione più recente racconta come nella Diocesi modenese durante il XIX secolo durante il giorno del sacramento, cioè la domenica di Pentecoste ai ragazzi e alle ragazze del Comune di Modena e il lunedì successivo a quelli della montagna e della Bassa,  le strade vicino al Duomo si riempissero di bancarelle che vendevano simbolici mini-bensoni.

Il Parmigiano-Reggiano

Quella del Parmigiano-Reggiano è una storia antica quanto la maggior parte dei comuni e delle comunità del territorio emiliano, e da almeno un millennio caratterizza la nostra regione per bontà e per unicità. Una storia che a differenza di quello che molti di noi potrebbero pensare, non iniziò in un caseificio o presso la casa di un contadino, ma all'interno delle antiche abbazie modenesi, reggiane e parmensi.  Si iniziò a parlare di questo formaggio già nel 1200, anni a cui risalgono i primi documenti circa una commercializzazione diffusa in queste tre province di una lavorazione del latte particolare. In particolare un documento notarile del 1254 testimonia la compravendita avvenuta a Genova di un prodotto chiamato caseus parmensis, ovvero il formaggio di Parma. 

I monaci che più si occuparono del miglioramento di quel processo di lavorazione, che oggi porta al nostro amato Parmigiano-Reggiano, furono i Benedettini e i Cistercensi. Infatti, fino al XIV secolo non si trova la definizione tecnica di fabbricazione perfetta che oggi conosciamo, ovvero riscaldamento, spinatura, cottura, salatura e stagionatura.  Solo da quel momento si inizierà una guerra al "brevetto". Giustificata da una tale diffusione del prodotto nel territorio, che Giovanni Boccaccio parlò di quel formaggio nel 1344, descrivendo la via Emilia come la contrada del Bengodi e descrivendo "parmigiano grattugiato", oltre a "maccheronei a raviuoli". E ciò avrebbe portato i duchi di Modena e di Parma a contendersi il primato di quella eccellenza.

I Calzagatti

I Calzagatti sono una tradizionale ricetta modenese, che  ogni rezdora sa fare al meglio. Come tutti sanno, questo piatto contiene i fagioli, la polenta e la carne più povera, infatti è un piatto legato alla tradizione rurale modenese, che è stato per secoli l'unica ricorsa contro la fame. La storia vuole che i modenesi, comprnedendo le capacità organolettiche ed energetiche di quei tre elementi, capirono che si potevnao mettere insieme, facendone un piatto nutriente, saporito e poco costoso.  Tuttavia, è legata a questo prodotto gastronomico una leggenda, che vuole, che esso sia stato inventato per caso. La protagonista di questa storia è una vecchietta che stava preparando della polenta e aveva messso da parte dei fagioli. Era il momento di servirla in tavola, ma l'anziana signora inciampò sul gatto che si era accovacciato sul pavimento, e così i fagioli caddero in nel tegame della polenta. Il gatto, spaventato dall'accaduto, scappò via e da lì sarebbe nato il termine calzagatto, ovvero il "caccia gatto". Il resto è storia...

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