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Cultura Mirandola

Il fascino dei manicomi abbandonati nella mostra "Insania" di Gottfried Dunkel

Un viaggio nei manicomi abbandonati grazie alle fotografie scattate dal modenese Gottfried Dunkel, che nella sua "Insania" ha saputo rappresentare un mondo lasciato a sé stesso ma ancora carico di fascino e significati

La mostra "Insania" del modenese Gottfried Dunkel ha suscitato ampio interesse da parte del pubblico, grazie alle sue fotografie certamente diverse da quelle che normalmente siamo abituati a vedere e con scelte stilistiche che catturano l'attenzione. Per l'occasione abbiamo intervistato l'artista per raccontarci il suo rapporto con la fotografia e con ciò che vuole rappresentare.

Chi è Gottfried Dunkel?

Gottfried Dunkel? Lo conosco abbastanza bene...ma non è facile dare una risposta univoca o esaustiva. Re Ludwig II di Baviera, cugino della nota principessa Sissi, scrisse: “Voglio rimanere un enigma per me stesso ed il mondo intero”, citazione che trovo in linea con il mio sentire, per questo sarebbe forse più facile chiedere agli altri chi è Gottfried Dunkel. Non riesco a definirmi con un termine solo o con una serie di termini, le etichette limitano, le categorie mi vanno strette. Posso però dire che non mi ritengo un fotografo in senso stretto. Nel mio sentire mi ritengo più vicino ad un cantastorie, ma essendo stonato come una campana, preferisco narrare per immagini e non essendo il disegno e la pittura tecniche che riesco a padroneggiare (per dirla con un eufemismo), il mio “medium” è divenuto la fotografia, che mi permette di costruire sequenze oscure senza tempo, romantiche, malinconiche, misteriose e mistiche. Attraverso le mie foto cerco di raccontare, di dare nuova vita, anima e nuovi significati a situazioni che senza il mio intervento andrebbero dimenticati. Gottfried Dunkel è Massimiliano, certo, rispetto a lui è solo truccato, pettinato, più ordinato e un pelo (quanto basta) vanitoso e spaccone, ma è al contempo il mezzo che mi permette di esprimermi più liberamente nel l’atto creativo, un po’ più libero dagli orpelli che mi/ci connotano nei ruoli del mio/nostro quotidiano.

Insania di Gottfried Dunkel

La tua ultima mostra si intitola Insania, cosa hai voluto rappresentare?

Fin da quando “l’ho vista nella mia mente”, INSANIA doveva essere un sogno. Un sogno vivido, fatto da persone dimenticate dal mondo, ma non da Dio, con un inaspettato e sottile lieto fine in cui credo: la fine del dolore, il paradiso. Alcuni visitatori ci hanno visto una denuncia di fatti accaduti in passato e questa può essere una delle possibili letture, ma non era nelle mie intenzioni, anche se di fatto ho dato voce agli oppressi e agli emarginati di epoche lontane, vittime delle conoscenze mediche e del sistema sociale di allora. Ribadisco, INSANIA è un sogno, dove finalmente la luce, la giustizia divina, vince la fragilità della natura umana. INSANIA è speranza di resurrezione. Non è una mostra facile ne fruibile appieno nell’immediato, i contenuti visivi e non, non sono leggeri; malattia mentale e fede non sono argomenti da bar, da pub, da piattaforme social. Sono rimasto molto soddisfatto dalla mostra. Primo: perché è stata compresa. Secondo: per le reazioni del pubblico; molti sono rimasti senza parole, tanti si sono commossi, alcuni hanno pianto. Terzo: sono contento per l’affluenza. Sono venuti quasi tutti quelli che mi seguono da tempo, ma anche tanti che non si erano mai visti prima. Anche la visione notturna a lume di torcia è stata molto apprezzata...certo, c’era il pericolo, molto concreto, che il pubblico percepisse il tutto come un film horror, che molti particolari delle foto si perdessero, ma tutto è andato bene. Grande plauso anche ad “Inside” , brano musicale scritto da Guido Benedetti, con il monicker Bubblegum, per la mostra che ha reso la visione ancora più ricca e multisensoriale. Un risultato ottenuto grazie alle “mie” Messaggere, ai “miei” assistenti: Chiara Paolucci, Luca Calzolari, Guido Benedetti,Roberta Incerti, Cinzia Molin, oltre a Roberta Gloria Stragliati, che ha allestito la sala espositiva, e a Stefan Manderioli per i bei ritratti che mi ha scattato alla mostra.

IL VIDEO - LO AVEVAMO INTERVISTATO UN ANNO FA

Le tue fotografie sono dominate dai colori scuri, cosa ti piace del lato dark dell'esistenza?

Quando c’è nuvolo, quando scende la sera o durante la notte in molti si sentono a disagio, come se mancasse qualcosa. Così come quando le foto sono sottoesposte o in esse dominano i colori scuri, le foto sono viste/sentite/percepite come “negative”. La luce non esisterebbe senza il buio, ma visto che quest’ultima frase non sta in piedi dal punto di vista accademico, rettifico in maniera scientifica, ma nel contempo romantica, alla Gottfried : “senza il buio, senza la notte, le stelle non potrebbero brillare”. Il “dark”, purtroppo, con il passare del tempo ha perso la propria cultura, le proprie radici e, per molti, oggi, essere “dark” è semplicemente vestirsi in un certo modo e/o ascoltare una certa lista di gruppi musicali...Sbagliatissimo. L’essere “dark” è un sentire interiore, non si acquista in negozio. Lo si può avere o non avere, acquisire...lo si può coltivare o no, oppure ignorarlo. Per altri i “dark” sono solamente personaggi eccentrici, depressi ed infelici, degli eterni Peter Pan che non sono andati oltre i propri traumi adolescenziali. Io ovviamente non posso cambiare ciò che pensa la gente. Ti posso dire però che non sono nè macabro nè tetro nel senso stretto del termine (aggettivi che mi sono sentito dire ripetutamente nel corso del tempo). Il fatto che abbia più volte fotografato “la morte” e “la sofferenza”, non significa che sia affascinato da esse, che le desideri. Fotografarle può essere forse un modo per esorcizzarle, ma sicuramente lo è di rispettarle. Del lato dark dell’esistenza mi piace la spiccata sensibilità intrinseca, l’emozionarsi e il riflettere su cose e temi che sfuggono a molti. Il lato dark dell’esistenza fa sognare e non ho voglia di smettere in tal senso.

Un ruolo fondamentale nel tuo lavoro artistico lo hanno le tue messaggere. Raccontaci chi sono e perché sono proprio in quelle pose?

Come detto durante la video intervista per ModenaToday l’anno scorso, le Messaggere sono le “mie” modelle. Fanno parte di questo gruppo mia moglie, ed altri affetti importanti, amiche e persone che sono rimaste colpite dalle mie foto o che ho incontrato casualmente ad eventi, che “a pelle” mi sono piaciute e mi “hanno detto qualcosa” , a cui ho chiesto di entrare a far parte del gruppo. Le ammiro molto e sono loro molto riconoscente. Nessuna di loro è una professionista. Si mettono in gioco per me, consapevoli che non vincono la lotteria e che possono essere aggettivate o criticate dal pubblico. Ma le Messaggere sono toste, e vanno oltre...Il ruolo delle Messaggere è incommensurabile. Senza nulla togliere a ciò che hanno fatto in passato e vedrete loro fare in futuro, in INSANIA sono state immense. Cinque, su sette di loro indossavano la camicia di forza, avevano solo il volto a disposizione per esprimere emozioni, situazioni, sofferenza. Sono state sbalorditive. In INSANIA dovevano esprimere follia, dolore, incomunicabilità, inquietudine, dignità e “bellezza”. Ecco il perché di quelle pose. Il pubblico ha molto apprezzato la loro bellezza e la loro interpretazione. Alcuni visitatori hanno detto che le Messaggere avevano sguardi ed espressioni che “attaccavano al muro”, e hanno ragione...era quello che cercavo, che sentivo, che volevo. Sono orgoglioso di loro. Senza le Messaggere le mie sequenze fotografiche sarebbero decisamente più “piatte” e più povere di spirito e di bellezza.

Un ruolo fondamentale lo hanno avuto in questa mostra i manicomi, cosa ti affascina di loro?

Non sono stato affascinato direttamente dai manicomi, ma dalle storie che le pareti, le statue, la polvere, gli oggetti rotti, la strumentazione medica mi raccontavano. Le suggestioni che ho sentito mentre fotografavo e che poi ho imprigionato nelle foto mi hanno suggerito un breve scritto. Sono partito da questo per costruire la sequenza di INSANIA e da questo “ho visto” come dovevo fotografare le Messaggere (che comunque ci hanno messo molto anche del loro, una volta che le ho fatte calare nell’immaginario).

Chiederti se hai altri progetti nel cassetto sarebbe inutile perché saranno numerosi. Puoi anticipare qualcuno di questi?

Volentieri! Come l’anno scorso durante la tua video intervista, ho anticipato la mostra di quest’anno, colgo l’occasione, ora, per annunciare il titolo della prossima mostra, la terza della Tetralogia delle Tentazioni. Il mio prossimo progetto si intitolerà : “Abrenuntias?” (in italiano : “Rinunci?”) e la tentazione trattata sarà : il male. Per la prima volta comparirà anche un Messaggero. Nel frattempo conto di finire le photosessions per “Jack Lo Squartatore”...poi vedremo...lo stress influisce molto sui miei atti creativi! Ma quando fotografo devo essere tranquillo!

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