rotate-mobile
Cultura

Viaggio nel tempo, quando a Modena il vino si portava in spalla

Dall'Archivio Storico del Comune di Modena alla scoperta di un'Arte ormai dimenticata, quella dei brentatori, che per secoli hanno animato le strade della città

Se fossero sopravvissuti alla nascita della bottiglia e della "tromba da acqua per li incendi", i brentatori avrebbero avuto vita breve a Modena ai tempi delle ordinanze comunali contro l'abuso di alcolici. Entrati nella storia, che sconfina nella leggenda, con l’episodio duecentesco della tentata fuga di Re Enzo dal palazzo del Podestà a Bologna, i brentatori hanno animato le strade delle nostre città fino a '800 inoltrato, distribuendo vino e concorrendo ad azioni di pubblica utilità nonostante la scarsa considerazione che si aveva di loro, tanto che era piuttosto diffuso il detto "chi troppo studia matto diventa, chi poco studia porta la brenta".

Destinati a trasportare sulle spalle un pesante contenitore ricolmo di vino (la brenta, appunto), i brentatori erano uomini robusti e coraggiosi che ben presto formarono un’Arte alla quale, forse unica, era richiesto il pericoloso impiego di spegnere i disastrosi incendi che divoravano le case, abbondanti di legno, in quella lontana età. Sempre primi nelle sfilate devozionali, sempre unici a sorreggere le pesanti macchine processionali, i brentatori erano però bestemmiatori nella foga del gioco e negli scoppi d’ira improvvisa, distinguendo a fatica il sacro e il profano.

Era possibile trovare questi omaccioni intenti a giochi d'azzardo sui gradini del Duomo oppure attorno ad una pentola fumante, appena portata da una delle loro donne, sbracciati e convulsi a contendersi i ritagli delle cotiche di maiale, cibo a Modena molto usato, o i maltagliati con i fagioli. Un cibo oggi recuperato era chiamato un tempo a Modena proprio “maltagliati alla brentatora” per l’uso privilegiato, continuo e strategico che ne facevano i portatori di vino.

Nel bere, e non c’è da dubitarne, questi personaggi erano degli autentici “giganti”. Tanto che, per qualcuno, lo stato prolungato d’ebbrezza poteva anche esser assunto come cognome: “Inveriago” (dal dialetto modenese "imberiegh").E' poi tutto modenese il suggerimento gastronomico del proverbio: “Còun la puléinta baven ’na bréinta!”.

Modena fu sempre una città che amò il vino. Ma assaggiar vini in quella lontana età era compito arduo. Da palati robusti. Tanto che ai brentatori era fatto esplicito divieto al mangiar noci e formaggio maliziosamente offerti da venditori disonesti al momento dell’assaggio per alterare il sapore e la percezione della quantità prima della qualità. Vite e grano crescevano assieme. Malgrado i divieti si vendemmiava anticipando la completa maturazione delle uve, per paura di scorrerie, di furti o di grandine e vandalismo.

Nei secoli bui il massimo sfregio ed offesa era proprio il tagliar le viti al nemico, tanto che nel 1250 i bolognesi dovettero costruire in tutta fretta una strada arroccata per difendere il trasporto del vino dai colli di Monteveglio e di Monte San Pietro dalle inesorabili scorrerie modenesi. In simile situazione dovevano agire i brentatori, questi sensali del vino che ignoravano le raffinatezze di un assaggio a regola d’arte, ma che avevano tanta e tale competenza sul vino locale da supplire a sofismi e sottigliezze per puntare positivamente sulla buona qualità, o meno, della partita trattata.

L’uso della brenta diventò poi tanto generalizzato da assumere il valore di una misura, codificata e depositata presso l’Ufficio dell'Estimo, da essere esposta in Piazza, assieme alle altre, tra le misure cittadine ai piedi della Bonissima. Era nota di grande demerito spandere vino, di grande abilità invece non perderne neppure una goccia. La brenta infatti veniva spesso riempita e sempre vuotata senza toglierla dalle spalle. La si versava fino all’ultimo, bastava piegare il dorso con lento movimento progressivo e far scendere il liquido al di sopra della spalla.

Poi, lento, l’oblio. La colorita congrega vivrà ancora fino all'Ottocento, ma di luce riflessa. La città s’avviava ad assumere sempre più quell’aspetto ordinato e di decoro che tendeva a “far pulizia” delle vecchie cose. Si sventravano i quartieri malsani, si aprivano nuovi slarghi, qua e là cominciavano a sparire le mura. Si perseguivano i vagabondi, gli ubriachi e gli anarcoidi. Non c’era più spazio per i “trebbi”, tanto meno per i brentatori, addirittura dimenticati da una città tra le più investigate dagli storici. Peccato ancor più grave se si pensa che tutt’ora Modena è tra le maggior provincie esportatrici di vino per le strade del mondo.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Viaggio nel tempo, quando a Modena il vino si portava in spalla

ModenaToday è in caricamento