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Gaia Rayneri racconta "Ugone", vincitore del "Frignano Ragazzi"

La trama è impossibile da raccontare, lo stile è fresco ma incredibilmente accorto e ricco di finezze: questi gli ingredienti per vincere un premio letterario di narrativa per ragazzi. Il suo primo romanzo diventerà un film

Gaia Rayneri, la giovane scrittrice che ha già avuto grandi soddisfazioni col suo primo romanzo “Pulce non c’è”, è la vincitrice del premio “Frignano Ragazzi” nella sua seconda edizione. La storia che l’ha portata al successo è raccontata in “Ugone”, opera di narrativa per ragazzi, frutto della stima che l’autrice nutre per i bambini e di una grande fantasia ai limiti del delirio.

Gaia, dal tuo precedente romanzo “Pulce non c’è” è stato tratto un film che uscirà prossimamente; ti spaventa un po’?
All’inizio ero solo contenta e soddisfatta, ora un po’ di preoccupazioni stanno venendo a galla. Non vorrei che ne uscisse uno dei soliti film drammatici all’italiana, ma fortunatamente la sceneggiatura è scritta da me quindi riesco in qualche modo ad essere sempre padrona del mio romanzo e cerco di fare in modo che non venga stravolto.

Hai scritto “Ugone”, che è un libro per ragazzi, affermando che impari sempre qualcosa da loro; cosa nello specifico pensi che ti insegnino maggiormente?
I bambini hanno uno sguardo particolare, sempre rivolto e attento in modo costante alla bellezza. Riempiono i propri occhi di immagini e se le ricordano tutte, hanno sempre più cose presenti alla mente rispetto agli adulti; loro non dimenticano mai che esiste il vento, tanti tipi di fiori, animali esotici, insomma, hanno una mente enciclopedica.

Nel tuo romanzo la protagonista Uga è vestita da prete ed è l’unica cosa autobiografica del libro; cosa significa?
Intanto non sono assolutamente cattolica. Da piccola però sognavo di fare il prete per lavorare il meno possibile soprattutto, ma anche per l’invidia che provavo nei confronti di queste persone che avevano un luogo fisico di spiritualità. Alla fine ho fatto la scrittrice perché è il mestiere che più si avvicina a quello del prete: entrambi abbiamo un pulpito in qualche modo.

Dici di aver ricreato atmosfere inquietanti nel romanzo, come mai?
In realtà il mio libro è un mix di divagazione pura e di significanti di cui nemmeno io so il significato, un po’ come nei sogni. Le dimensioni surreali, come quelle che ho ricreato, hanno sempre qualcosa di inquietante e un contrappunto grottesco; l’intenzione è ovviamente sempre quella di far ridere.
 

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