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Assoluzione per lo stupro di gruppo, il Pd condanna i giudici

La Conferenza delle Democratiche (Pd) attacca le scelte dei giudici dopo le motivazioni delle sentenze di assoluzione per i fatti di Modena del 2013: "Vanificato lavoro di anni, si colpevolizzano ancora una volta le donne". E la magistratura viene invitata a "scuola di cambiamento culturale"

Nell'autunno 2013, quando venne resa nota l'indagine e i primi dettagli del presunto stupro di gruppo ai danni di una ragazza modenese, il Partito Democratico aveva già emesso la propria sentenza di condanna per i giovani implicati. A distanza di quasi due anni, dopo la sentenza del Tribunale di Modena che ha assolto tutti i ragazzi per insussistenza del fatto, le esponenti democratiche confermano il proprio giudizio e attaccano i giudici modenesi, non allineati al “cambiamento culturale” in tema di violenza di genere.

Pietra dello scandalo sarebbero le motivazioni della sentenza di Modena (insieme a quelle degli analoghi fatti di Firenze). Per la Conferenza delle Democratiche, guidata da Caterina Liotti, dalla lettura delle motivazioni “pare di capire che nel caso di Modena che non ci sia stato un esplicito esercizio di violenza sul corpo, sebbene l’atto non fosse consenziente”. Liotti richiama - con qualche fraintendimento - un discorso particolarmente complesso, affrontato nella sentenza del giudice De Marco, che ha sancito l'impossibilità di determinare la "minorata difesa" della ragazza modenese.

Un filo di lana veramente sottile, che il Tribunale di Modena ha percorso in punta di piedi dopo aver raccolto perizie e testimonianze, trovandosi appunto davanti all'impossibilità di chiarire fino a che punto si sia trattato di una violenza subita inconsciamente a causa dell'alcol o piuttosto di una situazione – per quanto magari poco gradita – contro cui la 16enne non abbia posto una reale resistenza pur essendo nelle condizioni di poterlo fare.

Una complessità apparentemente inaccettabile per le esponenti del Partito Democratico: “Temiamo che si colpevolizzino ancora una volta le donne che denunciano una violenza sessuale e si vanifichi il lavoro fatto negli ultimi anni per far emergere il fenomeno della violenza - spiega Caterina Liotti - Ogni caso è a se stante, ogni evento ha le sue dinamiche, ma le due sentenze che tanto hanno indignato l’opinione pubblica ci impongono una riflessione seria”. 

A sottolineare la bocciatura delle competenze dei giudici di Modena, le democratiche propongono: “Ci chiediamo se non sarebbe opportuno avere anche in Italia un tribunale specifico come ad esempio avviene in Spagna che grazie alle competenze maturate possa garantire i diritti delle vittime e far progredire un cambiamento culturale fondato sul rispetto delle donne”. E per fornire queste competenze le democratiche invitano la magistratura al Tavolo provinciale della Prefettura sulla violenza, con l'intento di “migliorare le risposte che la nostra comunità dà al fenomeno della violenza sulle donne in ogni sua forma”.

Il contorto caso modenese dimostra ancora una volta come non sia impossibile scalfire il sillogismo democratico in termine di violenza di genere, dove la difesa della donna come vittima viene declamata a prescindere e surclassa anche l'accurata perizia della giustizia, sostituendosi ad essa. Quando prevale la volontà di accusa, a discapito di un approfondimento serio per quanto “scomodo”, si rende davvero onore al processo democratico?

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