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Se anche formaggi e salumi possono essere criminali

Ultimo caso a Modena di contraffazione alimentare, nuovo business della malavita. Fotografa il fenomeno il libro-inchiesta di Luca Ponzi e Mara Monti

Quello di qualche giorno fa, tra Modena e Grosseto, è solo l’ultimo caso balzato agli onori della cronaca. Il Corpo forestale dello Stato ha scoperto tra le due province un commercio illegale di formaggi e affettati venduti come made in Italy, ma in realtà provenienti dalla Germania e dalla Repubblica Ceca. Il fenomeno della contraffazione agroalimentare è ormai diffusissimo e rappresenta una piaga molto grave per la nostra economia.

Offre una lucida fotografia del fenomeno il libro-inchiesta “Cibo criminale. Il nuovo business della mafia italiana” (Newton Compton editori) scritto dai giornalisti Luca Ponzi (Rai di Bologna) e Mara Monti (gruppo Sole 24Ore) si scopre che purtroppo può calzare perfettamente.

Il volume, che ricostruisce con documenti e sentenze i traffici illeciti legati ai prodotti alimentari, è stato presentato, con la partecipazione del Presidente Coldiretti Emilia Romagna Mauro Tonello e del Procuratore aggiunto di Modena Lucia Musti, a Parma. La città emiliana, che è tra i simboli della buona tavola italiana e dà il suo nome a uno dei prosciutti più famosi al mondo, è in effetti un teatro particolarmente adatto per parlare degli “attentati al made in Italy” alimentare.

Il prosciutto di Parma, per esempio, apprezzato in tutto il mondo, ma importato dall’estero e trasformato in prodotto locale falsificando il marchio di provenienza. La carne di cavallo nelle lasagne alla bolognese e nel ragù delle confezioni di pasta fresca, o l’inquietante ipotesi della carne di cane utilizzata per la preparazione dei cibi. Batteri coliformi solitamente presenti nelle feci scoperti in Cina nelle torte al cioccolato dell’Ikea, tranci di carne scaduta da otto anni trovati nei congelatori di un grossista di Milano. Mozzarella di bufala ricavata, con lo zampino dei Casalesi, da cagliate proveniente dalla Germania; concentrato di pomodoro spacciato come italiano ma ottenuto allungando passata cinese; formaggi confezionati con scarti avariati, dannosi per la salute; olio proveniente da olive tutt’altro che nostrane. I consumatori si sono dovuti improvvisamente rendere conto di non sapere che cosa avevano nel piatto.

I crimini legati al cibo che si raccontano nel libro riguardano le truffe nell'utilizzo improprio di denominazioni di origine controllata, come il marchio Made in Italy associato a cibi di qualità, ma che in realtà nasconde prodotti scadenti o provenienti da altri paesi. Il fenomeno si chiama “Italian sounding” e sarebbe quel valore aggiunto che viene automaticamente attribuito a certi prodotti per il solo fatto di richiamare l'Italia e rende i consumatori disposti a pagare di più per acquistare un prodotto ritenuto di qualità. A livello mondiale il giro d'affari dell'Italian sounding supera i 60 miliardi di euro (164 milioni al giorno), cifra 2,6 volte superiore al valore delle esportazioni agroalimentari. Per ogni scatola di pelati veramente italiani, per esempio, ce ne sono tre la cui materia prima, pur avendo nomi come Vesuvio o Dolce Vita, proviene dall'estero. Ed è così anche per i prosciutti, l'olio, la mozzarella e moltissimi altri prodotti fiore all’occhiello del nostro mercato agroalimentare. È stato calcolato che basterebbe recuperare una quota del 6,5% dell'Italian sounding sul mercato estero per riportare in pareggio la bilancia commerciale del settore.
“Di fronte a questi fenomeni - ha sottolineato alla presentazione del libro il presidente Coldiretti Mauro Tonello - diventa indispensabile una tracciabilità certa dell’origine degli alimenti, in modo che sia facilmente riconoscibile in etichetta la provenienza dei prodotti, per consentire ai consumatori di fare scelte di acquisto consapevoli sulla reale origine del prodotto”.

La presenza della criminalità organizzata nel settore agroalimentare viene spiegata bene riportando le parole pronunciate da Pietro Grasso, oggi Presidente del Senato e allora procuratore nazionale antimafia: «Oggi, sotto il profilo dell’agroalimentare, è come se ogni italiano avesse aggiunto un posto a tavola per la criminalità organizzata: c’è un criminale che oggi sta seduto attorno a noi e che gode del fatto che, dovendo noi consumare dei pasti, paghiamo una parte di denaro in più rispetto a quanto dovremmo, a fronte di una qualità inferiore». Le mafie si sono infiltrate in ogni attività economica e in tutto il territorio nazionale e molti dei prodotti simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, che ogni giorno vengono venduti in tutto il mondo, sono il nuovo business di mafia, camorra e 'ndrangheta.

Difficile stabilire con certezza il fatturato, ma secondo Eurispes è di circa 220 miliardi di euro all’anno, l’11% del prodotto interno lordo del Paese. La criminalità organizzata è abile e per finanziarsi è riuscita a fare incetta degli aiuti comunitari: per anni nomi di spicco di mafiosi e camorristi hanno incassato i finanziamenti all’agricoltura stanziati da Bruxelles, nonostante non ne avessero diritto. Ed è così che in un mercato sempre più globale, con regole non omogenee, la criminalità riesce a sfruttare ogni smagliatura nei controlli, arrivando a incrinare uno dei pilastri dell’economia nazionale, a tutto rischio del consumatore.

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