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La Rete Reumatologica modenese alla prova del Covid-19, "Cambieranno tante cose, anche l’assistenza"

Pochi i casi di contagio da Covid tra i malati cronici e autoimmuni reumatici: «Si contano sulle dita di una mano», riferisce la professoressa di Reumatologia presso l’AOU Policlinico di Modena. A settembre partirà uno studio

Questo modus operandi, a suo avviso, avrà delle ripercussioni nel rapporto medico-paziente? «All’inizio ero perplessa sull’utilizzo di questi strumenti tecnologici: pensavo che avrebbero reso più difficile il rapporto medico-paziente, ragion per cui non li abbiamo mai usati così tanto, ma così non è stato. Anzi. Mi sono dovuta ricredere. In quanto docente universitaria, poi, abbiamo fatto esami online ai ragazzi, e li abbiamo anche laureati online. Ho capito che serve una sensibilità diversa per usare nel modo più efficace questi utilissimi strumenti, che possono soddisfare anche le esigenze dei pazienti in tempi rapidi. La telefonata o la videochiamata, voglio risottolinearlo, non accorcia il tempo di visita. Il tempo dedicato a ogni paziente è lo stesso di prima. Questo approccio aiuta ad accorciare le distanze, dato che al momento la situazione è quella che conosciamo tutti, e non espone a un maggiore rischio di contagio nessuno. Per ora, meno si muovono le persone e meglio è. Certo, in seguito, anche il contatto fisico dovrà essere ripristinato».

Ci sono stati casi di Covid tra chi ha una patologia reumatologica cronica e autoimmune? 

«Pensando al rischio maggiore che avrebbe potuto correre il paziente fragile e immunocompromesso a causa di alcune terapie in atto come lo sono alcuni dei nostri pazienti reumatologici, l’eventualità che ci potessero essere molti casi di Covid ci aveva preoccupato parecchio all’inizio dell’emergenza sanitaria. Man mano passavano i giorni, però, ci siamo messi più tranquilli tutti: i pazienti reumatologici contagiati nella nostra realtà modenese si possono contare sulle dita di una mano. Sono davvero pochi. Abbiamo dei pensieri su questo: i meccanismi su cui si basa l’aggressione del Covid, che richiedono una importante risposta immunitaria, probabilmente sui nostri pazienti non si attivano in quanto già immunocompromessi. Stiamo mettendo a punto un progetto di ricerca che partirà in autunno, per controllare se hanno sviluppato anticorpi dati dall’infezione da Covid attraverso i test sierologici e capire così quanti eventualmente sono stati contagiati senza avere sviluppato la malattia. Inoltre, vorremmo anche indagare se il mancato sviluppo nelle forme più gravi del Covid sia stato dovuto proprio alla loro immunocompromissione. Uno dei fattori che li ha protetti è di certo stata la preoccupazione del contagio, perché considerati inizialmente pazienti più fragili di altri». 

Se la preoccupazione è stato un fattore di protezione, potrebbe di contro avere come conseguenza una riattivazione della malattia?

«È una domanda che è giusto farsi. Sappiamo che lo stress può riattivare la malattia autoimmune e può essere causa di aggravamento della fibromialgia, un’altra fetta importante della casistica reumatologica. Le nostre telefonate periodiche hanno anche il compito di gestire lo stress di tutti questi malati. Se si danno motivazioni scientifiche e razionali ai pazienti, si può aiutare loro a contrastare le situazioni stressogene. La comunicazione corretta aiuta sempre. La nostra attenzione, però, non è solo dalle date conseguenze di un fattore di rischio come lo stress. Stiamo valutando anche le conseguenze future di chi ha contratto il Covid, non solo tra i nostri pazienti, ma tra tutta la popolazione che si è infettata. Noi sappiamo che dopo la SARS del 2002 o dopo l’infezione con altri tipi di Coronavirus c’è stata una maggiore incidenza di casi di artrite reumatoide. Il virus, quindi, potrebbe innescare un maggior numero di malattie reumatologiche. Stiamo attrezzandoci anche per gestire questo aspetto».

Un’altra preoccupazione dei malati reumatologici affetti da Lupus, Artrite reumatoide, Sindrome di Sjögren e altri con connettiviti in terapia conl’idrossiclorochinaè derivata dal mancato reperimento di questo farmaco. Come ha reagito la Rete Reumatologica modenese di fronte a questo fatto?

«A Modena abbiamo ricevuto pochissime segnalazioni del mancato reperimento nelle farmacie territoriali del farmaco. Per quei casi, abbiamo contattato subito la nostra farmacia del Policlinico, con cui lavoriamo in maniera stretta e in pieno accordo, e da subito ha fatto in modo che i pazienti reumatologici avessero il loro farmaco senza problemi. Seguendo una corsia preferenziale e adottando tutte le misure di sicurezza per ridurre il rischio di contagio». 

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