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Rigenerazione ossea, Unimore, presenta domanda per un nuovo brevetto

Un progetto relativo all’uso di ossicini sclerali per la rigenerazione ossea in ambito sanitario e veterinario. La novità la si deve alle ricerche condotte dalla Sezione di Morfologia umana del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze Unimore

Gli ossicini sclerali - continua la Prof.ssa Carla Palumbo - sono particolari e piccolissimi segmenti ossei quadrangolari (delle dimensioni di 3mm x 4mm, con uno spessore di circa 150 micron) che si trovano al confine sclero-corneale del bulbo oculare di vertebrali inferiori con occhi sporgenti (quali uccelli, rettili, anfibi, pesci) che hanno lo scopo, una volta raggiunta la taglia definitiva, di proteggere il bulbo oculare dalla deformazione durante il volo o il nuoto. Per consentire ciò, una volta formati, non devono subire modificazioni e quindi non devono poter sottostare, a differenza del resto dello scheletro, a processi di rimodellamento osseo (che determinano modificazioni di volume e struttura) che continuamente si verificano in tutte le ossa, non solo a seguito di variazioni di carico meccanico ma anche di alterazioni del metabolismo minerale. Dal momento che a percepire le esigenze meccaniche e metaboliche dello scheletro e a modulare il rimodellamento osseo sono gli osteociti, le cellule mature dell’osso che abitano in apposite cavità lacuno-canalicolari all’interno della matrice mineralizzata, l’espediente che la natura ha escogitato per rendere “insensibili” gli ossicini sclerali al rimodellamento osseo è stato quello di indurre gli osteociti ad andare in apoptosi (morte cellulare programmata), una volta raggiunta la taglia definitiva degli ossicini sclerali; essi, pertanto, sono biomateriali <naturalmente decellularizzati>. Inoltre, nell’ottica di un percorso di internazionalizzazione, a seguito di una collaborazione francese con l’Università di Bordeaux, abbiamo anche dimostrato che gli ossicini sclerali, come pubblicato sulla rivista scientifica Biomaterials Science non inducono reazione immunitaria avversa quando impiantati in animali non immuno-depressi di specie diversa. Per le proprietà già dimostrate, l’introduzione di ossicini sclerali in scaffold tridimensionali consentirebbe di scatenare, nell’osso ospite da riparare, una reazione angiogenica (prerequisito indispensabile alla formazione di osso) ed osteogenica”.

L’intuizione ha immediatamente alimentato il coinvolgimento di ditte, che - contattate preliminarmente alla fase di deposito della domanda – si sono dichiarate interessate a sviluppare il brevetto, cosa che infonderà ancora più energia nel perseguire l’iter brevettuale intrapreso e che suggella l’importanza dei risultati ottenuti dalle ricercatrici e dai ricercatori Unimore nel corso di un lungo periodo di studi.

Durante gli ultimi 10 anni - dichiara il Prof. Michele Zoli, Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze – il gruppo di ricerca diretto dalla Prof.ssa Carla Palumbo, in collaborazione con gruppi di ricerca internazionali, si è occupato dello studio morfologico e delle caratteristiche induttive degli ossicini sclerali; da qui è nata l'idea di sfruttarne le potenzialità angiogeniche ed osteogeniche da un punto di vista applicativo. Ora, il deposito della domanda di brevetto è motivo di grande soddisfazione per me e orgoglio per il Dipartimento, nel cui ambito auspico che possa avvenire il pieno sviluppo di questa idea progettuale”.

Tra i sostenitori della brevettazione c’è anche il Prof. Massimo Messori, Professore Ordinario in Scienze e Tecnologie dei Materiali al Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” che, condividendo da diversi anni vari progetti col gruppo di ricerca della Prof.ssa Carla Palumbo, ha confermato l’intenzione di proseguire nella collaborazione per lo “studio di nuovi biomateriali” e ha dichiarato che “ la funzione osteo- e angiogenica degli ossicini sclerali può essere sfruttata da un punto di vista applicativo attraverso la realizzazione di scaffold di opportuna geometria, anche ‘su misura’ rispetto allo specifico paziente. Da questo punto di vista, lo sviluppo di materiali con le necessarie caratteristiche di biocompatibilità e bioriassorbibilità e di lavorabilità attraverso tecnologie di stampa 3D costituisce il punto centrale della collaborazione fra i due Dipartimenti coinvolti”.

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