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Assunta, a Carpi si è festeggiato insieme alla comunità ucraina nel segno della pace

Alla celebrazione in Duomo anche la comunità ucraina di rito greco-cattolico. Poi la tradizionale processione per il centro cittadino

Lunedì 15 agosto, alle 8, in Cattedrale, Santa Messa presieduta dal Vescovo Castellucci. Preghiera per la pace con una delegazione della comunità ucraina di rito greco-cattolico. A seguire, processione per le vie della città. Alle 10.45, sempre in Cattedrale, Santa Messa presieduta dal Vicario generale, monsignor Manicardi.

Questa mattina a Carpi è stata celebrata con la processione per le vie della città la solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, molto sentito in città da oltre cinque secoli a questa parte. La messa in Cattedrale è stata presieduta dal Vescovo Erio Castellucci con accanto don Alessandro Sapunko, parroco della comunità ucraina di rito greco-cattolico, che era presente con una delegazione di fedeli. Un gesto che vuole esprimere vicinanza e comunione nella preghiera per invocare insieme il dono della pace.

A seguire la processione con la venerata immagine dell’Assunta, che quest’anno a causa dei cantieri ha avuto un percorso diverso (Corso Cabassi, Via Rodolfo Pio, Via Matteotti, Via Gobetti, Viale Carducci, Via Sbrillanci, Piazza Garibaldi, Corso Alberto Pio, Piazza Martiri). Al termine della processione, alle ore 10.45, sempre in Cattedrale, si è tenuta la Santa Messa presieduta dal Vicario generale, monsignor Ermenegildo Manicardi.

L'omelia di mons. Castellucci

“Regina della pace, prega per noi”. L’ultima invocazione delle litanie lauretane spunta oggi con particolare forza e dolore dalle nostre labbra. L’avevamo ripetuta spesso, pensando alle numerose guerre che anche ai nostri tempi devastano il pianeta: guerre tra nazioni, guerre civili, conflitti a tutti i livelli della società. Ma da quasi sei mesi, quando invochiamo Maria “Regina della pace” pensiamo alla guerra scatenata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia; un conflitto così rovinoso proprio dentro l’Europa, con conseguenze su tante altre popolazioni; un conflitto che ha scavato solchi più profondi all’interno del mondo cristiano, tra cattolici e ortodossi e nel seno delle stesse Chiese ortodosse; un conflitto che aggrava le già molte crisi in atto: crisi economiche, energetiche, ambientali, migratorie, sanitarie. Nessuno di noi ha il potere di entrare nella cabina di regia e fermare queste tragedie. Continuiamo a stupirci per l’incapacità degli esseri umani di imparare qualcosa dai drammi della storia; continuiamo a provare un senso di rabbia e impotenza per le “inutili stragi”, come disse papa Benedetto XV della prima guerra mondiale, che servono solo ad annientare la vita e fomentare il risentimento; molti di noi si domandano se davvero siamo nell’epoca dell’homo sapiens o se piuttosto non ripiombiamo continuamente nell’epoca dell’homo demens… ma alla fine sembra che non possiamo farci nulla.

Tuttavia il Vangelo ci spinge, pur nei limiti delle nostre possibilità, ad evitare l’immobilismo, a camminare per la pace. Maria, dopo l’annuncio dell’angelo, non si chiude in casa per la vergogna di una gravidanza difficile da motivare, ma si mette in moto. E lo fa “in fretta”, nota Luca. Non è una fretta esteriore – percorrere più di cento chilometri all’epoca richiedeva diversi giorni – ma è una fretta interiore, è la spinta di un cuore che ama e non può restare fermo. Deve comunicare, consegnare il suo grande segreto a chi riesce a comprenderlo, Elisabetta. A lei, e al bimbo che cresce nel grembo della sua anziana parente, Maria porta pace e gioia. La pace non viaggia da sola: ha bisogno di gambe, braccia e voce. La pace cerca l’incontro, il dialogo: ed Elisabetta accoglie Maria con la grande parola di pace: “Benedetta tu”. La pace nasce dal desiderio di incontrarsi, dall’accoglienza dei doni e delle fatiche degli altri. Maria conduce poi l’incontro alla sorgente della pace. Raccogliendo l’esperienza e la sapienza di Israele, canta l’inno più alto, il Magnificat, all’azione potente di Dio. E ci dà una lezione di teologia della storia. Canta la misericordia di Dio “di generazione in generazione per quelli che lo temono” e aggiunge che Dio “si ricorda della sua misericordia”: il Signore, cioè, non si lega al dito le offese, non coltiva odio e risentimento per il male ricevuto, ma si lega al dito la sorte di quelli che lo temono, degli umili del suo popolo, di coloro che vogliono costruire e non distruggere. Sono questi gli umili che lui innalza, rovesciando i potenti dai troni e disperdendo i superbi nei loro progetti.

La storia umana non è nelle mani dei superbi, che si costruiscono i loro troni sulla pelle degli umili, dei poveri, dei semplici. Sul momento, certo, hanno la meglio, perché il trono è alto, sembra sicuro e inattaccabile, li pone al riparo dai disastri che loro stessi hanno causato; ma poi i troni, inevitabilmente, crollano, i muri dell’odio vengono smantellati, le grandi statue sono prese a martellate. E il giudizio della storia travolge i superbi; il Signore saprà poi fare giustizia, con i suoi inaccessibili criteri, anche oltre la storia.

Quella giovane donna, quella ragazza che nella visita alla parente ha cantato un inno così alto, ci ha regalato il segreto della pace: affidarci attivamente al Signore della storia. Affidarci, cioè, nella preghiera, ma anche in una costruttiva e umile azione quotidiana: cercare il più possibile l’incontro e non lo scontro; metterci in cammino e non rassegnarci, lasciare che Dio rovesci i troni del nostro orgoglio, coltivare l’ascolto e la cura reciproca. Questo è il nostro contributo alla pace. Da soli però non riusciamo, perché nel nostro intimo covano continuamente dei conflitti. Anche per questo continuiamo a ripetere, senza stancarci: “Regina della pace, prega per noi”.

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