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Il commento | A presto, cara università

Cosa fai nella vita? La studentessa. Studio Giurisprudenza, a Modena, nuotando tra gli esami di un secondo anno che dovrebbe essere il terzo, e alle volte mi sembra quasi di affogare. Sono una studentessa, e mai prima d’ora questa qualifica m’era parsa un lusso: un lavoro piuttosto, non pagato e alle volte nemmeno soddisfacente, scelto da me ma pur sempre con la (in)consapevolezza dei 18 anni. Ho ingoiato con foga libri su libri gustandone alcuni e odiandone altri, programmando il mio periodo di transizione con un unico obiettivo: la laurea, quel foglio di carta tanto agognato che mi avrebbe aperto le porte del mondo dei grandi. Del resto, cos’è l’università se non un trampolino di lancio per il futuro?

Ero immersa nella bolla del mio conto alla rovescia lungo cinque anni quando un giorno è arrivato un virus che l’ha fatta esplodere, senza fare rumore, e da lì tutto è cambiato. Chi era già sul trampolino ha dovuto tuffarsi non sapendo se sarebbe atterrato in una vasca piena d’acqua o di cemento: nessuno sa come sarà il mondo del lavoro post-covid, ed è inutile negare che ad oggi si prevede che somiglierà più ad una betoniera che ad una piscina olimpionica. Chi era ad un passo per salire sul trampolino invece, spesso è stato bloccato: aziende chiuse significa nessun tirocinio, nessun tirocinio significa nessuna laurea. Ma la situazione che conosco meglio è quella degli studenti che quel trampolino lo vedevano ancora col binocolo, come me.

Prima del virus conoscevo il mio futuro come si conosce una canzone la prima volta che la si ascolta, dopo qualche nota: sai che il ritmo non cambierà, che ci sarà un ritornello, forse un assolo, ma sei certo che la musica sarà la stessa fino alla fine. Non avevo messo in conto che un direttore d’orchestra impazzito avrebbe potuto prendere le redini della mia vita, e questo mi ha destabilizzato. Oggi sono due mesi esatti che non prendo la macchina per andare all’università, che non metto le cuffie per raggiungerla a piedi dal parcheggio, che non tardo ad una lezione in via S. Geminiano, che non faccio una lezione in via S. Geminiano. E non so per quanto tempo ancora non riprenderò la mia routine.

Se mi avessero detto che avrei potuto seguire le lezioni da sotto al piumone, due mesi e mezzo fa avrei fatto i salti di gioia, mentre ora vorrei solo saltare indietro nel tempo e piombare sul mio banco, tra i miei compagni di viaggio. Vorrei bere il caffè delle macchinette e poi correre al bar per prenderne uno decente, vorrei programmare il mio erasmus senza aver il dubbio di non poter partire. Vorrei… eppure non posso.

Se non altro, questa doccia fredda che dura ormai da mesi, è servita a risvegliare un desiderio di normalità che forse neanche avevo mai conosciuto. Sogno la mia quotidianità così tanto che, se mai la riavrò, sarà difficile sottovalutarla ancora una volta. E ora che ho capito che l’università è un lusso, perché tale è il potersi crogiolare nelle certezze di una routine mai troppo severa, mi auguro con tutto il cuore che domani, come oggi, questo lusso possano permetterselo ancora in tanti. A presto, mia cara università.

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