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L'opinione | Il virus, il bastone e la carota (ma fino alle ore 18)

Con l'ultimo Dpcm e con lo spettro del lockdown che ormai incombe, in questi giorni si sommano le analisi su ciò che "non ha funzionato" nei mesi scorsi e su cosa non sta funzionando in queste settimane in cui la seconda ondata è ormai diventata realtà. Che lo Stato, nelle sue varie articolazioni, potesse e dovesse fare qualcosa in più pare assodato: strutturare diversamente la sanità pubblica – in particolare sul fronte del contact tracing – gestire con più accuratezza i trasporti, la scuola e chi più ne ha più ne metta.

Ogni singolo provvedimento governativo apre altrettanti dibattiti sui casi specifici. Quanti metri di distanza fra gli ombrelloni? Che senso ha chiudere i teatri? Il virus va nei ristoranti solo a cena e non a pranzo? Riflessioni necessarie, ci mancherebbe, soprattutto per le implicazioni economiche di tante categorie, ma che spesso distolgono l'attenzione da un fatto basilare: il virus non lo trasmette "il ristorante" o "il teatro": il virus si trasmette tra singoli individui, in qualsiasi luogo essi si trovino. Persino negli ospedali.

C'è un aspetto del lockdown della scorsa primavera che è probabilmente passato sotto traccia, o che probabilmente è stato troppo rapidamente dimenticato. Non solo il provvedimento era molto severo e restrittivo, ma veniva effettivamente fatto rispettare. Chi usciva di casa aveva la (quasi) certezza di imbattersi in una pattuglia delle forze dell'ordine o in un vero e proprio posto di blocco stradale: gli sarebbe stato chiesto conto del proprio spostamento e, in caso di irregolarità, sarebbe arrivata la multa (o addirittura la sanzione penale).

Nella nostra provincia si sono toccate giornate con oltre 100 o 150 multe inflitte ai cittadini che violavano le norme. L'indicazione operativa fornita alle forze dell'ordine era chiara: controlli rigidi. La comunicazione era altrettanto chiara: informative quotidiane sulle sanzioni, che amplificate dai mezzi di informazioni rendevano ancora più cristallino il messaggio. Non si poteva trasgredire. Ci si poteva provare, certo, ma la possibilità di uscirne indenni erano abbastanza ridotte.

Con la Fase 2 tutto questo è pressochè svanito. Anche se le regole di distanziamento sociale e protezione individuale, è bene ricordarlo, sono ancora lì. Regole più o meno dimenticate, senza dubbio ampiamente sottovalutare da troppi cittadini.

L'estate, le ferie, la voglia di riscatto e di ripresa della socialità hanno inevitabilmente e comprensibilmente preso il sopravvento e si sono protratte fino all'autunno, senza una percezione chiara di cosa sarebbe potuto accadere nella stagione più fredda. E che fine hanno fatto i controlli? Dove è finito lo Stato nella sua funzione, forse antipatica, ma fondamentale di "repressione" dei comportamenti capaci di mettere a repentaglio la salute pubblica?

Il caldo estivo ha sciolto il rigore adottato nel lockdown: le direttive impartite dal Viminale ai Prefetti non sono state neanche lontanamente paragonabili a quelle dei mesi passati. L'attività delle forze dell'ordine è ripresa in maniera "tradizionale" e i controlli anti-covid si sono limitati a qualche iniziativa sporadica nei luoghi della movida, a verifiche in alcuni locali pubblici, a sanzioni nei confronti di commercianti più o meno impotenti nel gestire i loro clienti. Ciò che è stato traslasciato quasi completamente è stata l'attenzione verso i comportamenti individuali dei singoli cittadini che hanno adotatto comportamenti scorretti.

Su quale siano state le ragioni di questo cambio di rotta nella gestione dell'ordine pubblico, il dibattito è aperto. Non si tratta certo di augurarsi uno stato di polizia, ma l'impressione è che molte norme scritte in questi mesi siano rimaste tali: solamente scritte su carta.

Probabilmente scelte politiche diverse – perchè è di questo che si tratta – da parte di chi ha la responsabilità della sicurezza interna del Paese avrebbero contribuito non tanto a fermare in modo "materiale" il contagio di un virus subdolo e inaferrabile, quanto a far maturare una maggiore consapevolezza personale dei rischi connessi al mancato uso della mascherina e al mancato distanziamento. Anche su questa assenza si dovrebbe riflettere.

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