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Francesco Baraldi

Giornalista Modena

"Il bavaglio sta calando sulla cronaca, così si avvantaggiano i criminali"

Aser, il sindacato regionale dei cronisti, interviene nuovamente sul silenzio imposto dalle Procure, partendo dalla situazione reggiana, non dissimile da quella modenese

Dai diversi mesi si parla - forse troppo poco - del giro di vite che Prefetture, Procure e forze dell'ordine nel loro complesso hanno imposto alle comunicazioni con i mezzi di informazione. Una chiusura che discende da una interpretazione rigidissima del Decreto Cartabia che, sul finire dello scorso anno, ha imposto ai magistrati nuove regole per le comunicazioni con i giornalisti, limitandole in modo consistente, se non addirittura totale. Basti solo pensare che il Procuratore di Modena non ha mai incontrato la stampa in tutto questo anno solare.

Più volte l'Aser, il sindacato regionale dei giornalisti, ha sollevato questo tema partendo da specifici esempi. E lo fa anche oggi dalla vicina Reggio Emilia. Il monito arriva in particolare dai comitati di redazione del Resto del Carlino, la Gazzetta di Reggio, Teletricolore e TeleReggio (appunto assieme ad Aser): "Il bavaglio che sta calando sulla cronaca, a partire da quella ordinaria, è un campanello d'allarme che non va ignorato, anche perché palesa il rischio che determinati temi, come quello della mafia, tornino ad essere avvolti dal silenzio, che come noto avvantaggia soltanto gli interessi delle consorterie criminali".

Di qui l'auspicio che le istituzioni, chiamate a far rispettare la norma per rafforzare la presunzione d'innocenza, "sappiano bilanciare adeguatamente il diritto alla presunzione d'innocenza con gli altri diritti costituzionalmente garantiti e altrettanto meritori di attenzione. Cosa che al momento non pare stia accadendo in modo puntuale, almeno a Reggio Emilia".

E neppure a Modena, aggiungiamo noi. Quella norma ci ha messo poco a farsi ribattezzare come 'legge bavaglio', "come ampiamente denunciato da più parti in questi mesi, che comprime fortemente il diritto di cronaca dei giornalisti e quello dei cittadini ad essere informati", mandano a dire i colleghi reggiani.

"L'applicazione della norma, che tra l'altro varia in modo sensibile tra provincia e provincia del territorio nazionale, creando una inaccettabile difformità, ha dato luogo a Reggio Emilia ad alcuni effetti difficilmente giustificabili con lo spirito e la lettera del provvedimento stesso", aggiungono facendo degli esempi. Come nel caso di una persona portata in carcere dopo la condanna in via definitiva per riduzione in schiavitù "ed altri gravi reati", ma di cui "non sono state fornite le generalità. Si è così giunti al paradosso di garantire la presunzione d'innocenza di una persona condannata in via definitiva".

Oppure, "in occasione di incidenti stradali, sempre più spesso, gli operatori di Polizia si rifiutano di fornire qualsiasi informazione, anche in presenza di persone decedute, questo in ragione di presunte disposizioni emanate dalla magistratura, di cui chiediamo conto". Di recente, dicono i giornalisti reggiani, di "un grave episodio di violenza sessuale non è stata fornita alcuna comunicazione e soltanto la perseveranza dei cronisti ha consentito di informare i cittadini di quanto era accaduto (nel pieno rispetto dell'anonimato della vittima e della presunzione d'innocenza dell'indagato)".

Per di più, appunto, tutto questo succede a Reggio Emilia dove "è ozioso ricordare" che, "come dimostrato dal processo Aemilia", è l'"epicentro di una 'locale' di 'ndrangheta. Tutti gli osservatori più accreditati sono concordi nel sostenere che l'attività di tale associazione a delinquere non sia cessata con il processo e le sentenze. Le interdittive antimafia che continuano ad essere emanate dalla Prefettura ne sono un chiaro segnale". Ma se non si può raccontare, avvisano i cronisti, si rischia di lasciare campo libero alla criminalità organizzata. E a tal proposito ricordano che il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, "magistrato simbolo della lotta alla 'ndrangheta, e tra i primi a sensibilizzare l'opinione pubblica della provincia di Reggio Emilia sulla presenza della mafia in questo territorio, a proposito della legge bavaglio ha parlato chiaramente di una 'involuzione democratica".

Purtroppo la quotidianità di Reggio non è dissimile da quella di Modena, dove le istituzioni a più livelli tacciono sul fronte dei reati. Venendo meno il confronto, che ha sempre caratterizzato le diverse professionalità in questo settore indubbiamente delicatissimo, viene meno purtroppo anche la possibilità del cittadino di essere informato in maniera puntuale. La speranza è ovviamente di un'inversione di rotta, attraverso appunto un confronto più aperto, pur nel rispetto delle norme in vigore. Ma le prospettive al momento non parlano di aperture. Almeno non a Modena.

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