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L'intervista | Mons. Castellucci, il virus, la Pasqua e le cose che contano davvero

Come vivere questo insolito tempo pasquale segnato dall'emergenza, dalla sofferenza e dall'isolamento? Cosa ricavare da questa esperienza drammatica? Lo abbiamo chiesto all'Ascrivescovo di Modena-Nonantola

Sarà ancora lunga e di conseguenza bisognerà saper resistere dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale, soprattutto dal punto di vista sanitario, ovviamente, ma anche “di testa” bisogna saper resistere?

Sì, perché tra i problemi che si stanno rilevando (ne abbiamo discusso nei giorni tra i vescovi della regione in videoconferenza e ci stiamo attivando di conseguenza nelle varie diocesi) c’è anche il trauma che parecchie persone che stanno subendo in queste settimane, un trauma a volte sottotraccia, perché mentre continua la tensione chiaramente si contiene, ma sicuramente avrà dei contraccolpi forti man mano che l’attenzione si allenterà. Mi riferisco alle persone che sono letteralmente bombardate da notizie, che si collegano continuamente a tutto per sentire direttamente cosa succede, per avere dati, senza poi avere i filtri necessari per poter decodificare tutto questo flusso continuo di informazioni.

E poi, in modo ancora più intenso, le persone direttamente coinvolte in prima linea: penso agli infermieri, ai medici, ai volontari e anche agli operatori delle pompe funebri. Stanno tutti subendo degli scossoni grandi, molto profondi, che sicuramente verranno fuori nel tempo e che quindi stiamo monitorando anche come chiesa. Ci sarà sicuramente tanto lavoro da fare, ci sarà sicuramente il tema il tema economico, ma anche questi aspetti non saranno da sottovalutare.

L'ultima domanda è che società ne uscirà, secondo lei, sicuramente diversa, questo è fuori discussione, ma migliore, peggiore o cosa?

Possiamo pensare a qualche esperienza già vissuta. Questa non è la prima grande crisi mondiale, c'è stata per esempio la crisi del terrorismo internazionale, dall'attentato alle torri gemelle alle stragi nelle strade delle città europee. Ha sicuramente lasciato un forte senso di precarietà ma anche una maggiore attenzione. Se pensiamo alla crisi economica del 2008, che non è ancora finita e che potrebbe ricominciare a dire il vero, qualcosa ci stava insegnando, soprattutto una certa allergia verso la finanza spregiudicata. O ancora, se pensiamo alla crisi ambientale, che dura da decenni ma sulla quale è solo negli ultimi anni che si registra una maggiore attenzione, è indubbia una consapevolezza crescente che induce anche a comportamenti conseguenti.

Io penso, perciò, che anche tutto questo ci lascerà delle ferite, ad esempio la difficoltà di potersi fidare di un abbraccio, di un approccio spontaneo verso l'altro, e anche le ferite molto più profondo do cui si diceva. Insieme al brutto, però, anche degli insegnamenti. Il punto è sempre lo stesso: cosa impariamo da queste crisi? Io spero che ci lasci almeno per un po' di tempo questa traccia nel cuore, il saper distinguere meglio ciò che è essenziale da quello che è secondario, cercare di individuare nella vita quei nuclei per cui vale la pena appassionarsi e di contro le cose superficiali che si possono lasciare da parte.

Pensiamo solo a quello che nei mesi scorsi ci ha appassionato nel dibattito pubblico: si è parlato a lungo del litigio, forse anche finto, tra due cantanti a Sanremo. Oggi ci rendiamo conto che forse la vita ha dei risvolti un po' più profondi…

Va bene, ma non era l'ultima. L'ultima è come, da questa vicenda, ne esce Don Erio?

Spero più convertito. Cioè, sto sempre cercando di convertirmi, a sessant’anni spero sia la volta buona…(per un secondo sorride Don Erio) insomma, vorrei essere più in grado di cogliere le situazioni che in queste settimane si sono manifestate e che ho incontrato, più attento alle cose che contano e forse meno preoccupato di quelle che passano. In queste situazioni, poi, si ha sempre a che fare con le domande sul senso della vita, quindi sì, forse ne esco anche con una fede maggiore nella vita eterna.

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