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Chiesa in "fase due", la lunga lettera dell'Arcivescovo ai sindaci modenesi

Riportiamo il testo integrale della lettera aperta firmata oggi da mons. Erio Castellucci, che affronta in senso molto ampio e senza rivendicazioni stringenti il tema della vità delle comunità cattoliche nei prossimi mesi

Prima di procedere, però, vorrei aggiungere un’osservazione, che raccolgo da conferenze di esperti e da educatori o semplici cittadini. La scelta di continuare ad offrire quasi esclusivamente servizi per l’alimentazione e la salute è comprensibile e giustificata (con l’eccezione, lo metto tra parentesi, delle dipendenze: tabacco e lotterie); ma esistono, oltre ai beni materiali, che sono la base per la vita biologica, anche dei beni relazionali e dei beni spirituali, che contribuiscono insieme al “benessere” globale della persona: corpo, affetti, mente, anima. La caduta verticale delle possibilità di relazione diretta – penso soprattutto a bambini, disabili e anziani – in alcuni casi produce conseguenze difficili da sanare. Non tutti i bambini e ragazzi hanno potuto proseguire la scuola, perché alcuni non hanno la possibilità di collegarsi a internet; molti disabili, ad esempio i ragazzi down, hanno patito il distanziamento come rifiuto; e alcuni anziani non hanno potuto vedere di persona i loro figli o nipoti per settimane. Con tutte le misure necessarie, non era impossibile attivare gli insegnanti di sostegno e permettere con maggior fluidità l’incontro dei familiari lontani con i loro congiunti.

Per quanto riguarda i beni spirituali, mi limito ad accennare all’attività della Chiesa. Come cattolici, non abbiamo alcuna soluzione pronta: non è certo il tempo di ricette, né tantomeno di polemiche; è per tutti il tempo dell’ascolto e della prossimità. Le nostre comunità diocesane in questi mesi sono invitate a purificarsi, a guardarsi bene dentro, a snellirsi, a “igienizzarsi” anche dal punto di vista pastorale, ammettendo dei limiti (ad esempio nella presentazione dell’immagine di Dio e nella predicazione della vita eterna) e cercando i modi più adeguati per essere fedeli al Vangelo, e quindi agli uomini di oggi. Stiamo portando avanti in queste settimane, nelle due diocesi, la consultazione dei ministri, e stiamo per avviare l’ascolto di tutto il popolo di Dio, per lasciarci provocare e rinnovare da questa faticosa esperienza di pandemia. Tutto fa pensare che dovremo presto affannarci di meno nell’organizzazione e occuparci di più della relazione, legarci di meno a spazi e strutture e concentrarci di più sulla vicinanza alle persone, nelle loro fragilità e nella loro vita quotidiana. La creatività che parrocchie, gruppi, associazioni e singoli stanno mettendo in campo è stupefacente e dimostra una grande vitalità e un desiderio di recuperare l’essenziale. Papa Francesco ce lo sta chiedendo da sette anni: ora occorre davvero il coraggio di affrontare una dieta evangelica, arrivando anche a scelte faticose riguardanti la semplificazione burocratica e la dismissione di strutture. In alcuni casi, sarà lo stesso impoverimento delle parrocchie, delle scuole cattoliche, di alcuni enti ecclesiastici e della diocesi stessa a dettarci questa agenda. Una comunità cristiana “sanificata” potrà contribuire meglio al bene spirituale delle persone, che non è meno importante dei beni materiali e relazionali, perché concerne il senso stesso della vita.

E proprio per queste considerazioni, la “fase due” – che prevedibilmente durerà fino alla pratica generalizzata del vaccino – non può essere portata avanti con disposizioni decise unicamente al centro, ma deve avvalersi di voci della società civile, della quale voi siete tra i migliori ascoltatori e interpreti. La “fase due” non può essere impostata come se si trattasse di allentare dei pezzi di corda, di concedere delle piccole aperture a singhiozzo, di allargare le maglie a malincuore; può essere efficace solo se concertata insieme ai rappresentanti della base sociale. Per quanto ci riguarda come Chiesa, non rivendichiamo l’occupazione di spazi o particolari prerogative, ma crediamo di poter continuare ad offrire un servizio alle persone. A voi risulta chiara la valenza “socialmente utile” della Chiesa, perché amministrate direttamente il territorio e siete in continuo contatto con le parrocchie e i sacerdoti, gli enti e le associazioni, i volontari e le diverse iniziative. Ma sembra che a livello centrale invece questa chiarezza non ci sia e, non da oggi, abbiamo l’impressione che “la Chiesa” appaia qualche volta come parte del problema piuttosto che come partner della soluzione.

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