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Mafie: i beni confiscati di Aemilia nel dossier di "Libera Emilia-Romagna"

Nel giorno dell’anniversario della legge 109/96, che ha permesso il riutilizzo a fini sociali e istituzionali dei beni confiscati, Libera Emilia-Romagna pubblica un dossier sui beni confiscati nell’ambito del maxi-processo alla ‘ndrangheta emiliana, tra Reggio Emilia, Modena e Parma

Centinaia di beni confiscati tra Reggio Emilia, Parma e anche Modena.

Case, appartamenti, ville, terreni, garage, capannoni disseminati su tutto il territorio emiliano-romagnolo, ma in particolare nelle tre province: sono quelle più colpite dal processo Aemilia, procedimento all’interno del quale sono avvenute le confische raccontate nel dossier Raccontati bene. I beni confiscati di Aemilia” di Libera Emilia-Romagna, realizzato grazie a un co-finanziamento della Regione Emilia-Romagna e pubblicato in una data simbolica. Ventisei anni fa, il 7 marzo del 1996, veniva infatti approvata la legge 109 per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie.

Il dossier - prodotto grazie a un lavoro di mappatura, analisi e racconto che ha coinvolto non solo il coordinamento regionale dell’associazione ma anche i coordinamenti provinciali di Reggio Emilia, Parma e Modena - rappresenta una fase propedeutica all’attivazione territoriale di percorsi di sensibilizzazione e progettazione volti al pieno riuso sociale dei beni confiscati presenti sul territorio: lo scopo della mappatura e del racconto è che i beni rivivano e che lo facciano attraverso percorsi di evidenza pubblica e partecipati.

I beni, come ripetiamo da anni - afferma Antonio Monachetti, responsabile del settore beni confiscati di Libera Emilia-Romagna - sono l’attestazione più evidente dell’attività criminale su un territorio. Le organizzazioni mafiose hanno necessità di investire, riciclare, accrescere il proprio potere economico attraverso gli investimenti e, nel percorso di radicamento e controllo sociale, di ostentare tali ricchezze. Ci sono, però contesti - come quello emiliano-romagnolo - nei quali il dato quantitativo dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose non è rappresentativo dell'effettivo radicamento delle stesse”.

Il dossier “Raccontati bene” vuole quindi iniziare a tracciare una geografia dei segni del radicamento mafioso in Emilia-Romagna. Un radicamento che, tra Reggio Emilia, Modena e Parma, riguarda prevalentemente la ‘ndrangheta finita alla sbarra nel processo Aemilia e nei suoi filoni, ma non solo. “Raccontare questi beni confiscati - spiega Sofia Nardacchione, responsabile del settore informazione di Libera Emilia-Romagna - significa raccontare le modalità di infiltrazione

e radicamento delle mafie in regione: raccontare, quindi, il passato, la storia di quei luoghi. Ma può voler dire raccontare anche il presente o il futuro: le possibilità di riutilizzo a fini sociali o istituzionali, di beni che possono tornare ad essere luoghi della comunità”.

Beni del Modenese

Nel modenese i beni confiscati nell’ambito di Aemilia sono 14, la maggior parte a Finale Emilia. I destinatari delle misure di confisca sono i fratelli Giglio, Alfonso Diletto e società riconducibili ad Augusto Bianchini. Si tratta di tre unità immobiliari nel comune di Modena e terreni e fabbricati tra San Felice sul Panaro e Finale Emilia. In totale, i beni confiscati anche nell’ambito di altri procedimenti giudiziari, sono molti di più, questi sono però rappresentativi di un’infiltrazione principalmente economica nel territorio modenese.

Il quadro di Reggio e Parma

Reggio Emilia. I beni confiscati nell’ambito di Aemilia sono 95, la maggior parte tra Montecchio Emilia, Reggiolo, Brescello. I destinatari delle misure di confisca sono tutti personaggi noti all’interno del maxiprocesso alla ‘ndrangheta emiliana: Giuseppe e Giulio Giglio, Carmine Belfiore, i fratelli Silipo, i Vertinelli, i Diletto. Molti dei luoghi confiscati nella provincia reggiana, inoltre, erano i luoghi dove il mondo mafioso si univa al mondo imprenditoriale e politico del territorio, a partire dal Ristorante Millefiori.

Modena. I beni confiscati nell’ambito di Aemilia sono 14, la maggior parte a Finale Emilia. I destinatari delle misure di confisca sono i fratelli Giglio, Alfonso Diletto e società riconducibili ad Augusto Bianchini. Si tratta di tre unità immobiliari nel comune di Modena e terreni e fabbricati tra San Felice sul Panaro e Finale Emilia. In totale, i beni confiscati anche nell’ambito di altri procedimenti giudiziari, sono molti di più, questi sono però rappresentativi di un’infiltrazione principalmente economica nel territorio modenese.

Parma. I beni confiscati nell’ambito di Aemilia sono 179, 144 nel solo comune di Sorbolo. La maggior parte dei beni sono quindi stati confiscati alle società coinvolte nel cosiddetto “affare Sorbolo”, l’immenso investimento immobiliare portato alla luce nel maxiprocesso alla ‘ndrangheta emiliana. Gli altri beni - in tutta la provincia 20 terreni e 154 tra immobili, garage e capannoni - sono stati confiscati a Parma, Montechiarugolo, Soragna e Busseto.

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