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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Isolamento prolungato o ripresa immediata? La lezione dell'influenza Spagnola

Le ricerche svolte negli Stati Uniti rivelano cosa accadde in base ai diversi provvedimenti adottati un secolo fa dalle città americane. Quale strada sceglierà l'Italia?

All’economia fanno più male le conseguenze sanitarie della pandemia o le chiusure adottate per limitarne la diffusione? Ovvero: meglio essere prudenti con le riaperture o adesso serve il coraggio di rimettersi in movimento?

Visto che si parla insistentemente di Fase 2, di riaperture e di ripresa delle attività economiche, vale la pena tentare di svolgere una valutazione attenta di costi e benefici. Certo, sono al lavoro e lo saranno sempre più nei prossimi giorni, fior di economisti, statistici, epidemiologi ed altri ancora ai massimi livelli. Anche a Modena, dalla facoltà di Medicina a quella di Economia. Saranno loro a indicare la via e non c’è da dubitare che sapranno valutare con attenzione ogni aspetto della questione in proiezione futura.

C’è però chi lo ha già fatto guardando al passato e precisamente all’epidemia cosiddetta Spagnola, che tra il 1918 e il 1920 provocò dai 50 ai 100 milioni di vittime in un mondo allora popolato da circa 2 miliardi e 300 milioni di persone. Sarebbe come se oggi la pandemia in atto portasse a dai 200 ai 400 milioni di vittime. Non sarà così, eravamo all’inizio del secolo scorso, è un altro mondo, un’altra medicina, arriveranno farmaci e vaccini. E, speriamo, questo male verrà fermato e debellato.

Ma i ricercatori statunitensi della Federal Reserve e di M.I.T. di Boston non hanno preso in esame tutto il periodo della pandemia, due anni e oltre, ma solo la prima ondata della Spagnola che arrivò sulla costa orientale a cavallo dell’autunno del 1918. Era un’influenza abbastanza simile al Sars-Cov-2, soprattutto perché molto aggressiva nella diffusione. Allora come oggi non vi erano difese, anzi ve n’erano ancor meno e fu subito evidente che l’unica arma possibile era l’isolamento, tra le persone e tra i luoghi, le altre città e gli altri stati.

Si racconta di una cittadina, Gunnison, in Colorado, che riuscì a evitare ogni contagio semplicemente impedendo ogni contatto e, 100 anni dopo, forse la Cina ha copiato di brutto questa modalità. Nemmeno a Gunnison si scherzava: c’erano guardia armate ed erano state erette le stesse barricate viste e ancora in piedi a Wuhan. Chi tentava di fare il furbo cambiava semplicemente luogo della quarantena, dalla propria abitazione alla galera.

L’aspetto più interessante della ricerca, però, riguarda il confronto tra le grandi città americane e il rapporto tra durata delle misure restrittive e conseguenze economiche: le città che rimasero chiuse più a lungo si ripresero meglio, in modo più continuativo e duraturo rispetto a quelle che decisero di anticipare la conclusione della quarantena. Ci furono casi clamorosi, come quello delle città gemelle del Minnesota, Minneapolis e Saint Paul, quest’ultima a sua volta “gemellata” con Modena. Allora, nel 1918, i due centri erano pressoché uguali: stessa popolazione, stessa economia, stesso stile di vita. A dividerle il Mississippi e diverse amministrazioni cittadine: quella di Minneapolis chiuse tutto, subito e più a lungo; quella di Saint Paul ritardò il più possibile e riaprì il prima possibile. Minneapolis ebbe un grande sviluppo, Saint Paul ebbe un lungo periodo di declino.

Poi c’è Seattle che forse proprio in quel brutto momento trovò la spinta per poi diventare una delle realtà più importanti degli Stati Uniti: Seattle rimase chiusa per un periodo lunghissimo, molto oltre la dichiarazione ufficiale di conclusione della quarantena. Ancora oggi il sindaco di allora, Ole Hanson, viene ricordato come un eroe e come l’artefice dei futuri successi della città.

Tornando alla domanda iniziale e cioè se fa più male la pandemia o la chiusura delle attività economiche? La risposta, forse, è nel dato mancante: le città “più chiuse” non solo ripartirono meglio, ma ebbero anche un numero di vittime molto più basso rispetto al resto del paese. Quindi guardiamo al futuro, certo, ma meglio tenere un occhio anche sul passato.
 

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