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Rivolte al Sant'Anna, detenuti denunciano violenze da parte degli agenti. Parla il loro difensore

L'avvocato Mario Marcuz, difensore di due dei cinque detenuti firmatari dell'esposto, parla nel corso di un incontro organizzato da Modena Volta Pagina: "C'è da rimanere traumatizzati"

A quasi un anno dai fatti, si torna a parlare delle rivolte al Carcere Sant’Anna del marzo scorso. Lo fa la lista civica Modena Volta Pagina, con un incontro online al quale prende parte, oltre che Claudio Paterniti dell’Associazione Antigone, Alice Miglioli del Comitato Verità e Giustizia per la strage del Sant’Anna, l’On. Stefania Ascari (M5S) e il Sen. Franco Mirabelli (PD); anche l’avvocato Mario Marcuz, difensore di fiducia di due dei cinque detenuti firmatari di un esposto di denuncia nei confronti della Polizia Penitenziaria.

Durante il dibattito, l’Avvocato Marcuz rilascia dichiarazioni forti, in merito a fatti che – seppur sommariamente – è bene riepilogare.

Era domenica mattina e c’era il sole, l’8 marzo, quando nuvole di fumo denso e scuro hanno iniziato a farsi spazio nel cielo limpido della periferia modenese. Buona parte della Casa Circondariale Sant’Anna stava andando a fuoco: a posteriori, per contare i danni, sarebbero state necessarie cifre a sei zeri. La pandemia era da poco esplosa, il da farsi non era chiaro, e ogni genere di visita nelle carceri era stata sospesa in via precauzionale. Una goccia che ha fatto traboccare il vaso – dicono molti -, una scusa per coprire un’azione coordinata negli interessi delle mafie – sostengono altri -: all’evidenza, una violenta rivolta che è costata la vita a nove detenuti. Durante i disordini infatti, è stata svaligiata la farmacia del carcere, e nove detenuti sono morti (cinque a Modena, gli altri dopo o durante il trasferimento), stando alle perizie autoptiche, per overdose di metadone. Ma ci sarebbe di più.

Le settimane passano, le acque si calmano, le indagini prendono il via. I filoni di inchiesta paiono essere tre: il principale, legato ai detenuti rivoltosi per le violenze commesse contro agenti e strutture; uno che potremmo chiamare “mediano”, che partirebbe da una denuncia del maggio scorso; e il terzo – e più recente – che nasce dall’esposto summenzionato.

Tale dichiarazione, presentata tra gli altri da i due assistiti dall’avvocato Marcuz, denuncia violenze che i detenuti avrebbero subito da parte degli agenti di Polizia Penitenziaria nel corso delle rivolte e dei trasferimenti, resi necessari dal fatto che il Sant’Anna fosse diventato inagibile. “I miei assistiti hanno detto << ci siamo consegnati alle forze dell’ordine pensando di trovare protezione rispetto a quello che stava succedendo intorno a noi>> - dichiara Marcuz - e la risposta è stata di essere stati ammanettati, portati all’interno di una stanza, e lì, leggo testualmente <picchiati, anche selvaggiamente>”. Una dichiarazione pesante, quella dell’Avvocato, che pensa che “gli scritti di questi detenuti vadano comunque appoggiati, non fosse altro per il coraggio che hanno avuto nel fare questa denuncia”.

Coraggio o interesse personale? chiederebbe il malpensante. “La loro è una denuncia disinteressata che non aveva l’obiettivo di ottenere scambi, favori o quant’altro per quanto riguarda la loro posizione personale” risponde il difensore “uno sta per uscire, l’altro ha un fine pena abbastanza breve: credo che questa denuncia sia stata fatta per motivi di solidarietà, solidarietà umana”. Si riferisce alla solidarietà nei confronti di Salvatore “Sasà” Piscitelli, deceduto nel Carcere di Ascoli il giorno seguente le rivolte, compagno di cella di uno dei suoi assistiti. “Il Piscitelli era un detenuto che già stava male, e ciò nonostante è stato trasportato in un carcere lontano centinaia di chilometri, pur avendo palesato il suo stato di grave malessere” afferma, e punta il dito contro gli agenti: “al di là dell’obbligo custodiale, è chiaro che la Polizia Penitenziaria abbia anche un obbligo di tutela della persona, della salute e anche della dignità umana”. Da ex accademico, Mario Marcuz sostiene di aver rilevato una profonda mancanza di preparazione, e forse anche di cultura, da parte delle forze di polizia coinvolte, e introduce un altro grande tema: quello della possibilità di identificazione delle Forze dell’Ordine che violano i loro doveri istituzionali.

Per smentire ogni dubbio circa l’identità dei suoi assistiti, l’avvocato Marcuz tiene poi a precisare che siano “completamente estranei ai fatti della prima inchiesta” e che “non appartengono ad alcun circuito organizzato o associazioni”.

A verificare la veridicità di questi accadimenti sarà la Magistratura: essendo l’inchiesta ancora in una fase di indagini preliminari, non è possibile, ad oggi, emettere sentenza. Certo è che, come afferma Marcuz, a chiusura del suo intervento, “quella carceraria è una situazione grave, deficitaria sotto molti aspetti, che ha avuto un epilogo drammatico nei fatti di Modena. È chiaro che se non c’è un intervento della politica e non c’è un interesse dei cittadini, situazioni come queste rimangono latenti per poi esplodere in modo tragico”.

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