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Cronaca Amendola / Strada Panni

Casa Lavoro, la Garante: "Abolire questa misura di sicurezza"

La Garante regionale dei detenuti ha fatto visita alla struttura di strada Panni: "Venuto meno il senso della presenza delle Case Lavoro nel nostro ordinamento"

Qual è il senso della casa lavoro se gli internati al loro interno non possono lavorare? Questo l'interrogativo che si è posta stamattina Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative delle libertà personali, in visita alla casa lavoro di Saliceta San Giuliano. All'interno della struttura di Strada Panni, il Garante ha incontrato la direttrice della Casa Lavoro e gli internati

ERGASTOLO BIANCO - “Ritengo necessario lavorare per l’abolizione delle Case lavoro e delle colonie agricole - ha dichiarato Desi Bruno - poiché è venuto meno il senso della loro presenza nel nostro ordinamento”. La struttura di Saliceta San Giuliano è una delle quattro presenti sul territorio italiano (le altre sono a Castelfranco Emilia, Sulmona e Favignana). Nelle Case lavoro sono internate quelle persone che hanno commesso reati, hanno scontato una pena e a cui il magistrato ha applicato questa ulteriore misura di sicurezza perché considerate socialmente pericolose. Queste misure di sicurezza hanno come obbligo il lavoro come mezzo per arrivare al reinserimento sociale, ma, nella realtà dei fatti, mancano progetti di lavoro effettivo e remunerato, quindi le case diventato a tutti gli effetti misure di sicurezza senza date finali certe, tanto che possono essere prorogate fino a che il giudice di sorveglianza non ritenga cessata la pericolosità sociale. Bruno ha parlato a questo proposito di “ergastolo bianco”, proprio perché la detenzione in queste strutture può diventare a tempo indeterminato: di qui la protesta dei detenuti che sostengono di preferire un raddoppio della pena in carcere, piuttosto che essere destinati alla Casa lavoro.

INTERNATI - Ma chi sono gli internati di Saliceta San Giuliano? Sono 63 uomini (su 67 posti), di cui il 6/7% stranieri (una percentuale in crescita), con altre 25 persone che sono fuori in licenza o occupati in progetti finali di inserimento. Dei 63 citati, 4 lavorano all’esterno, due assunti da una cooperativa sociale e due con una borsa lavoro del Comune di Modena. Gli altri sono occupati 10/15 giorni al mese perché manca il lavoro, per lo più svolgono mansioni domestiche dentro l’Istituto, mentre tre di loro sono occupati in tipografia, con un una remunerazione che va dagli 80 euro per dieci giorni di lavoro, ai 220 euro per un mese. La maggioranza degli internati ha commesso più reati, di qui la pericolosità sociale, il 20% ha compiuto reati legati alla criminalità organizzata, molti poi hanno problemi di tossicodipendenza, affrontato con la sola somministrazione di metadone da parte dell’Asl, o di disagio psichiatrico. L’80% di queste persone, inoltre, arriva alla Casa lavoro su provvedimenti della magistratura della Campania e della Lombardia: si tratta per lo più di internati senza riferimenti sociali, abitativi, di lavoro e spesso hanno perduto anche i legami famigliari dopo una vita trascorsa in carcere. E questo è ancora più vero se si tratta di stranieri, spesso privi di documenti, il che crea difficoltà ancora più evidenti di reinserimento sociale.

ABROGAZIONE - “Già nell’VIII legislatura, - ha ricordato Bruno - in Regione Emilia-Romagna, alcuni consiglieri (Borghi, Richetti, Monari, Monaco, Alberti, Piva) presentarono una proposta di disegno di legge alle Camere per abrogare le norme del Codice penale che prevedono l’assegnazione alla Casa lavoro o alla colonia agricola, due misure detentive - ha aggiunto - retaggio dell’epoca fascista perché previste dal Codice Rocco. Questo progetto è fermo, ma la mia idea è quella di ridargli impulso anche a fronte dell’abolizione dal 2013 degli ospedali psichiatrici giudiziari e del fatto che queste misure detentive non stanno funzionando, perché non assicurano un lavoro, né il reinserimento sociale attraverso specifici progetti che non si riescono a realizzare”.

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