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Cronaca Carpi

Sgominata la “mafia” indiana della Bassa, maxi condanne per estorsione

Finisce in carcere la potente famiglia carpigiana del boss "Baba" Singh, che dettava legge fra i connazionali con furti ed estorsioni. Nel 2012 il tentato omicidio di un ex affiliato del gruppo, massacrato a martellate a Carpi. Dopo il carcere saranno espulsi

Una famiglia influente che diventa punto di riferimento per un'intera comunità di immigrati, temuta e rispettata per i suoi modi violenti, capace di controllare un vasto territorio chiedendo il pizzo ai negozi gestiti da connazionali e mantenere l'ordine con la violenza e le armi. Ci sono tutti i connotati della criminalità mafiosa – tuttavia non concessa dalla DDA di Bologna - nel quadro dipinto dalla Procura e accertato dal Tribunale di Modena, che ha emesso la sentenza di condanna per la potente e famiglia Singh, appartenente alla numerosissima comunità indiana che da anni vive nella bassa modenese e reggiana e che ruota attorno al tempio Sikh di Novellara (RE).

Un'inchiesta coordinata dal PM Lucia De Santis partita ormai quasi tre anni fa, a seguito del tentato omicidio di Bikramjit Singh, massacrato a martellate nel centro di Carpi in pieno pomeriggio nell'ottobre 2012 e salvato in extremis dai medici. Proprio grazie alle confessioni del 28enne indiano la Procura ha potuto ricostruire le attività della famiglia, partendo da Balwinder “Baba” Singh, il temuto boss, organizzatore di estorsioni e mandante del tentato omicidio.

“Baba”, 51enne residente a Carpi fin dal 1997, è stato condannato con rito abbreviato a 16 anni di carcere. Su di lui è ricaduta la responsabilità di una lunga lista di estorsioni, tutte commesse ai danni di commercianti indiani, costretti a pagare un pizzo fino a 400 euro ogni mese in cambio di protezione e tranquillità. Insieme al boss sono stati condannati anche il braccio destro Paramjit “Sanga” Singh (7 anni e 4 mesi), nonché i due esecutori materiali del tentato omicidio: Amarjit Singhe e Tajinder Singh, rispettivamente nipote e cognato di “Baba” (9 e 10 anni). Una condanna anche per il cognato del boss, Harwinder Pal Singh, che per le stesse estorsioni dovrà scontare 10 anni di carcere.

Ma il Tribunale di Modena ha ritenuto colpevole anche la stessa vittima della feroce aggressione. Bikramjit Singh, infatti, era rimasto vittima di un regolamento di conti, dal momento che si era ribellato all'organizzazione di cui prima avevo fatto parte, decidendo di non sottostare più agli ordini di “Baba”, per il quale si era prestato al ruolo di picchiatore durante alcune riscossioni.

E' stata così assicurata alla giustizia un'organizzazione criminale di vasta portata, attiva soprattutto a Carpi e comuni limitrofi, ma che sfruttava assiduamente il Tempio di Novellara come luogo preferito in cui tessere le proprie relazioni e ricattare i tanti connazionali di religione Sikh. Va tuttavia precisato come l'organizzazione religiosa non sia minimamente coinvolta nella vicenda, ma a sua volta vittima degli affari malavitosi di alcuni suoi "fedeli". Il Tribunale ha per altro decretato che, dopo aver scontato la pena in carcere, gli indiani dovranno essere espulsi dal territorio nazionale.

Un fatto particolare ha però contraddistinto il processo. Mentre lasciava l'aula dopo aver ascoltato la sentenza, “Baba” Singh ha mimato il gesto di sputare per terra per ben due volte, in segno di sprezzo. Un particolare che non è sfuggito al procuratore Lucia Musti, la quale ha deciso di aprire un ulteriore fascicolo a carico dell'indiano, con l'accusa di oltraggio a corpo giudiziario. Un'altra scena dai contorni quasi cinematografici che testimonia la vicinanza spietata dell'organizzazione indiana alla mafia di casa nostra. 

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