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Cronaca

L'ultimo saluto a don Mario Rocchi nell'omelia dell'Arcivescovo

Pubblichiamo integralmente il testo dell'omelia tenuta da mons. Antonio Lanfranchi questo pomeriggio in Duomo, durante la Santa Messa per il sacerdote fondatore della Città dei Ragazzi

Domenica pomeriggio il Signore ha chiamato a sé nel suo Regno di gloria il nostro caro e amato don Mario. La notizia si diffuse rapidamente e molti sentirono subito il bisogno di manifestare il loro affetto, la loro riconoscenza per quello che don Mario aveva significato e significava per loro.
Con don Mario scompariva una delle figure più significative ed illuminate del clero di Modena. Don Mario se n’è andato lasciandoci un impegno e una promessa: l’impegno è quello di avere a cuore la sua creatura: la Città dei Ragazzi; la promessa: “Dal Cielo - scrive nel testamento -  se il Signore mi terrà degno di accoglienza, pregherò per tutti e spero di continuare a lavorare per i ragazzi”.

Non si può scrivere la storia del presbiterio ma neanche quella di Modena dalla guerra in poi senza accennare alla sua figura, alla sua opera. 
E’ stato scritto che “le persone sono le parole con cui Dio scrive la sua storia”. Attraverso don Mario, Dio ha scritto la sua storia in intere generazioni, soprattutto di ragazzi e di giovani a Modena dal dopoguerra a oggi. Una storia che ciascuno custodisce gelosamente perché in essa sono racchiuse le ragioni della vita, delle proprie speranze. Con questa storia noi siamo qui per dare l’ultimo saluto a lui, un saluto pieno di gratitudine, nella certezza che don Mario è in comunione con noi e dal cielo partecipa a questa celebrazione.

Nel raccoglimento della preghiera vogliamo lasciare risuonare dentro di noi il segreto  della sua vita lunga e lungimirante. Qual è questo segreto? Lo vorrei  cogliere dalla lettera ai Romani che è stata proclamata San Paolo ci ricorda: “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore (Rm 14,7-8). Vivere “per” il Signore significa vivere “del” Signore, della vita che viene da Lui, vivere per gli ideali, per quella vita buona e bella, per la quale ha dato la vita, facendo della sua esistenza un servizio d’amore. Quando si vive per il Signore si sperimenta che la contrapposizione massima dell’uomo - quella tra la vita e la morte - è stata superata. La vita e la morte sono soltanto due fasi e due modi diversi di vivere per il Signore e con il Signore: il primo nella fede e nella speranza, a modo di primizia,  il secondo, in cui si entra con la morte, nel pieno e definitivo possesso. La contrapposizione è tra vivere per sé e vivere per il Signore. Don Mario è  vissuto per il Signore.

Carissimi, permettete che concretizzi questo “vivere per il Signore richiamando tre tratti, tre aspetti della vita e dell’opera di don Mario. 
I media hanno dato doverosamente risalto all’opera grandiosa della CdR che ancora oggi prepara 250 ragazzi  al lavoro, e dà loro una formazione integrale; e a quella attività che ha salvato tante vite di prigionieri durante la guerra per cui don Mario insieme a don Elio Monari e considerato figura di spicco del Cattolicesimo sociale. 

Vorrei riprendere questo tratto, insieme ad altri due. Il primo. Vivere per il Signore ha voluto dire per don Mario vivere per la Chiesa, che è il suo corpo. Potremmo riassumere la vita di don Mario  nell’espressione: “dilexit Ecclesiam - amò la Chiesa”, nella sua dimensione concreta e nella sua concretezza di popolo, di comunità. Ha servito la Chiesa di Modena soprattutto come Assistente Ecclesiastico Diocesano della Gioventù di Azione Cattolica, come insegnante e poi direttore spirituale nel Seminario, come Vicario generale, come Canonico e come amministratore.  Ha servito la Chiesa viva, in “uscita” direbbe papa Francesco, nelle periferie, intese come luogo, ma soprattutto come periferie esistenziali, che conoscevano allora le ferite materiali della guerra, ma anche quelle sociali, ideologiche, le contrapposizioni.

Permettete che legga la sua morte come il suggello del suo amore  per la Chiesa. Domenica pomeriggio andando a fargli visita invocai con lui la Madonna poi gli diedi la Benedizione, che ricevette segnandosi; poi, dopo un momento di grave crisi, si segnò ancora spontaneamente e da lì a poco, spirò. Il segno della Croce con cui iniziava ogni giorno della sua lunga vita e con cui la concludeva, chiudeva la sua giornata terrena, facendone un’offerta redentiva, un dono  d'amore, e aprendola alla dimensione della gloria nell’eternità. Per me rimarrà un segno indimenticabile: è come se avesse voluto aspettare il suo Vescovo per questo passaggio definitivo della vita. Per aprirsi a questa gloria aveva spettato il Vescovo, segno della Chiesa, voleva salire a Dio con la sua Chiesa, come se avesse voluto  aspettare il segno della Chiesa per questo passaggio, perché così era stata tutta la sua vita.

Il secondo aspetto in cui si concretizza il vivere per il Signore è la realizzazione della Città dei Ragazzi.  
Dire don Mario a Modena vuol dire soprattutto Città dei Ragazzi, se ne è parlato  tanto sui media in questi giorni. Don Mario ne fu fondatore e per tanti anni il suo direttore. L’idea della Città dei Ragazzi era nata nella guerra da due sacerdoti incaricati diocesani uno per i giovani, don Elio Monari; l’altro per i ragazzi, il nostro don Mario appunto. Ambedue impegnati a salvare tante giovani vite, ambedue preoccupati di dare un futuro, una salvezza alle giovani generazioni; tra i due c’era una bella amicizia e una consonanza di ideali, di sogni e si trovavano d’accordo nel costruire un luogo dove i giovani potessero essere formati e aprirsi al futuro, con speranza, con un lavoro, con la possibilità di integrarsi, di formarsi una famiglia.

Il sogno era ambizioso, le risorse mancavano: occorrevano molti mezzi per creare tutti quegli ambienti che permettessero  una formazione integrale. Ma è proprio dei santi, dei profeti, confidare nel Signore e confidare nel cuore buono delle persone. Quando don Elio Monari fu barbaramente ucciso a Firenze, don Mario si trovò un po’ solo, ma presto poté contare sul  coinvolgimento di tanti giovani, di tanti enti, di sacerdoti come don Sergio Ronchetti, don Gianni Gilli, don Franco Malagoli, industriali come Vismara e tanti altri benefattori. 

Nel testamento ringrazia tutti così: “Ringrazio tutti coloro che ad ogni livello sono stati presenti per realizzare quest’opera consacrata che è la Città dei Ragazzi: professori e operai, studenti e lavoratori. Chiedo a tutti di continuare ad amare la CdR nella speranza che il Vescovo possa trovarvi un semenzaio di vocazioni". la Città dei Ragazzi è stata anche questo.
Vivere “del” e “per” il Signore. La vocazione sacerdotale nasce dal sentirsi amati gratuitamente, totalmente dal Signore, dal lasciarsi penetrare fino nelle più intime fibre del cuore dal suo amore per farlo poi fruttificare. L’amore rivelato e accolto si traduce in amore realizzato. La bellezza della vita è l’amore realizzato.  La bellezza attrae e contagia. Non ci meravigliamo allora più di tanto se la capacità di don Mario di accogliere l’amore di Dio e di realizzarlo ha contagiato.  Non solo don Mario ha fatto il bene, ma ha saputo coinvolgere nel fare il bene, tirando fuori il buono che c’è nel cuore di ogni persona. E’ questo un po’ il miracolo della Città dei Ragazzi che ora avrà un intercessore in cielo. Nel testamento don Mario scrive: “Dal cielo, se il Signore mi terrà degno di accogliermi pregherò per tutti e spero di poter continuare a lavorare per i ragazzi”. 

Un terzo aspetto di “vivere per il Signore” è la filiale devozione alla Madonna. Non si è mai staccato  dall'immagine di Maria che aveva imparato  ad onorare in Seminario. Ho ricordato che don Mario con la morte di don Elio si trovò un po’ solo a realizzare  il grande progetto. In realtà non era solo, c’era una presenza materna: quella della Madonna Immacolata. A lei don Mario consacrò la Città dei Ragazzi e sperimentò il suo aiuto. Diceva che i ragazzi certamente premevano più a lei che a lui e si dichiarò umile operaio suo e della Città dei Ragazzi.

Presso la croce Gesù ci ha donato Maria come Madre. “Ecco la tua Madre” dice a Giovanni che rappresenta tutti noi. E da quel momento Giovanni la prese tra le sue cose più care; la prese nella sua comunità, nella sua casa. Quando in una cosa c’è la madre, la sua presenza è generatrice di speranza, di fiducia, di serenità, di conforto.

Don Mario ha voluto che la Città dei Ragazzi avesse costantemente la presenza di una Madre: l’Immacolata. Ora che la presenza fisica di don Mario è venuta a mancare siamo sicuri che Maria è presente a vegliare su questa realtà. 
Maria è presente, “sta” come stava presso la croce per condividere, accompagnare, per aprire alla speranza e alla gioia la vita di  tanti ragazzi.
Con queste note povere, rispetto alla grandezza della figura di don Mario gli diamo l’ultimo saluto sapendo che siamo in comunione con lui e che continua a volerci bene, pregando per noi. 

Nel Paradiso riceve da Dio tutto ciò che ha compiuto con amore, a favore soprattutto dei suoi ragazzi, della Chiesa che tanto amava, della città di Modena. Mentre lo affidiamo alla misericordia del Padre, affidiamo anche  alla sua preghiera la speranza che il vuoto lasciato nel presbiterio sia colmato da altre vocazioni sacerdotali, come lui  auspicava.

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