"Processi in aula, non sui giornali": così i penalisti sui presunti pestaggi durante le rivolte in carcere
Gli avvocati della Camera Penale di Modena commentano così l'esposto presentato da cinque detenuti che accuserebbe di violenze la polizia penitenziaria: "necessario garantire un giusto processo a persone offese ed indagate"
"Le recenti notizie apparse sulla stampa [...] impongono la massima attenzione da parte dei professionisti impegnati in ambito penalistico a tutela dei diritti delle persone private della libertà personale": si apre così il comunicato stampa della Camera Penale di Modena Carl'Alberto Perroux che si esprime riguardo ai fatti delle ultime settimane che riportano agli onori di cronaca le violente rivolte che si scatenarono nelle carceri italiane, prima tra tutte la Casa Circondariale di Modena, nove mesi fa.
Per riassumere sommariamente cosa accadde nel pomeriggio dell'8 marzo scorso, si deve fare un salto indietro nel tempo. All'alba di una pandemia che ancora non accenna a tramontare, la notizia di alcuni contagi in carcere e la conseguente sospensione delle visite aveva fatto scattare una delle più violente rivolte della storia delle carceri italiane degli ultimi decenni. Durante questa rivolta, che aveva visto presa d'assalto la farmacia del Sant'Anna, cinque detenuti erano morti per quella che - a seguito di esami autoptici - sarebbe stata qualificata come overdose da metadone; mentre altri quattro detenuti erano venuti a mancare durante il trasferimento verso altri istituti penitenziari, reso necessario dallo stato di inagibilità in cui la casa circondariale modenese versava in seguito agli scontri.
Ed è soprattutto su uno di questi decessi, rispetto ai quali la Procura di Modena in un primo momento aveva dichiarato di non procedere poichè avvenuti fuori dal circondario, che fin dall'inizio aleggia un punto interrogativo. In agosto infatti, alcuni detenuti avevano denunciato all'Agenzia di Stampa AGI violenze che la Polizia Penitenziaria avrebbe inflitto sui detenuti prima e durante il trasporto; mancando inoltre di assistere da un punto di vista medico il detenuto Salvatore Piscitelli, che, in evidente stato di overdose da farmaci, sarebbe deceduto di lì a poco.
A dare credito a queste voci, è l'esposto che cinque detenuti del Carcere di Ascoli Piceno hanno presentato alla Procura di Ancona intorno a fine novembre, volto a denunciare i medesimi presunti pestaggi. Questi detenuti infatti, prima reclusi a Modena, erano stati trasferiti nelle marche proprio in seguito alla rivolta. Dopo tale segnalazione, gli stessi sono tornati nel carcere emiliano, e non sono pochi ad insinuare che tra l'esposto e il trasferimento "in un ambiente ostile" ci sia un collegamento.
Nel silenzio delle autorità e nella pretesa ricerca di verità di alcuni organi di stampa, ci si chiede in che direzione procederà l'indagine aperta a marzo per omicidio colposo plurimo a carico di ignoti. E' proprio a questo proposito che si esprime la Camera Penale di Modena, la quale "auspica che l'indagine della Procura della Repubblica possa fare chiarezza su fatti che, ove confermati, getterebbero un'ombra pesantissima su quella vicenda e sulla condizione dei detenuti".
Gli avvocati ricordano inoltre che "il clamore mediatico non deve far dimenticare come, prima di formulare giudizi 'sommari' sui fatti denunciati, sia necessario attendere gli sviluppi di una indagine delicatissima che dovrà svolgersi nel rispetto del principio della presunzione di innocenza e con la massima garanzia dei diritti di difesa". La garanzia di un giusto processo, dettata dall'articolo 111 della Costituzione, rimane infatti di vitale importanza sia per le persone offese che per le persone indagate: secondo i penalisti modenesi "è necessario che le indagini, prima, ed i processi, dopo, si svolgano nelle aule di giustizia e non sui giornali".