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Cronaca

“Bruxelles, ma belle!”, una passeggiata in città il 22 marzo 

E' il racconto - che riceviamo e condividiamo – di una giovane modenese a Bruxelles per lavoro. Parole che accumunano tanti concittadini all'estero e che fotografano una città scossa, ma non abbattuta dal terrorismo. Dal blog casamazzolini.it

Sono le 17:33 e sto camminando lungo Rue Royale. Spesso preferisco non prendere il tram dalla fermata di fronte al mio ufficio, ma camminare e prenderlo qualche fermata dopo per liberarmi un po’ la testa dalle otto ore di computer. Oggi è una giornata bellissima, di quelle che ti fanno pensare che lo stereotipo di una Bruxelles grigia non è altro che questo: uno stereotipo. Ci sono anche un sacco di persone in giro e mi viene in mente una delle mie prime domeniche qui, quando le strade sono state chiuse alle macchine e la città era piena di gente che si godeva una Bruxelles senza traffico.

Guardando questa città atipicamente bella in una giornata atipicamente finta, mi rendo conto di quello che ho sempre saputo: che io Bruxelles non la conosco. Sono arrivata qua come tanti con un contratto da stagista, quindi i miei primi mesi in questa città sono stati pieni di molte ore di lavoro e di poco tempo libero passato a cercare un lavoro. Venerdì scorso mi hanno assunto: contratto vero, lavoro vero e titolo vero. Daje! Ci sono riuscita: faccio quello che volevo fare, per un’organizzazione che ho sempre ammirato e con persone da cui posso solo imparare molto.

Sono arrivata al Palazzo di Giustizia e come al solito mi giro a destra per vedere il panorama della città. Ah Bruxelles, t’es belle! Sì, decisamente, devo scoprire questa città. La devo fare mia e fare in modo che io diventi sua, come ho già fatto in passato con altre città ed altre culture. Arrivo a Louise, che non mi è mai troppo piaciuta. Eppure con il sole e senza traffico sembra bella anche lei. Mi sono un po’ stancata di camminare – di solito prendo il tram al Palazzo di Giustizia, quindi il mio livello di sopportazione è oltre il suo solito limite. Ma i tram non ci sono, quindi devo continuare a camminare.

In realtà non ho molta voglia di tornare a casa. Fuori si sta bene senza giacca e avrei voglia di rimanere in giro. Poi mi rendo conto che è il 22 Marzo, la primavera sembra davvero arrivata e io sembro già essermi adeguata al suo richiamo. Peccato che oggi ci sia poco da fare in giro, nonostante la bella giornata e tutta questa gente per le strade. Queste parole sembrano carine, e magari pure riflessive, se non fosse che oggi, 22 marzo 2016, a Bruxelles, queste parole suonano più che altro superficiali e sciocche. E poi uno pensa a chi sta peggio e io quindi sono un’idiota viziata.

La verità è che molte domande me le sono già poste a novembre, dopo Parigi, e dopo aver amato quest’articolo in cui Simon Kuper ha saputo perfettamente catturare il mio stato d’animo. Come Simon, anche io mi sono chiesta se fosse il caso di restare o di trovare un lavoro da qualche altra parte. È da un po’ che ho il desiderio di tornare a vivere vicino alle montagne e visto quello che vorrei fare “da grande”, Ginevra sembra la città perfetta. Ma poi, pian piano, i sentimenti di novembre sono passati e io trovo un posto in cui vorrei lavorare qui a Bruxelles, quindi, quasi senza rendermene conto, decido di rimanere.

I miei pensieri sono interrotti dal suono del mio telefono. Sono i miei – a quanto pare le linee telefoniche sono tornate attive. Gli dico che sto bene e gli racconto la mia giornata. Mio papà mi dice che ci torniamo a sentire dopo e mia mamma mi dice che mi chiama domani. Di solito ci sentiamo una volta a settimana, ma questa non è una settimana usuale.

Nel frattempo sono arrivata a casa e decido di bere un bicchiere di vino. Sono stanca e non so cosa fare in casa, ma continuo comunque a pensare alla lunga giornata che ho avuto. Questa settimana firmerò il nuovo contratto di lavoro che sigillerà la mia permanenza a Bruxelles per almeno un anno. E una parte di me pensa: “è la scelta giusta?” “Certo che lo è!” risponde l’altra parte di me, quella un po’ più razionale. Questa mattina, come ogni mattina da venerdì scorso, mi sono svegliata con un sorrisone stampato in faccia perché non vedo l’ora di cominciare a lavorare per quell’organizzazione che ho sempre ammirato e con quelle persone da cui posso solo imparare molto.

Però i dubbi rimangono e io rimango intorpidita dalla mia giornata troppo lunga. Penso anche a Bruxelles, a quella città che non ho ancora conosciuto, ma che ho voglia di scoprire. Ah Bruxelles, t’es difficile! Allora decido di tornare sul sito del Financial Times e di rileggermi l’articolo di Simon Kuper. Una volta finito, mi rendo conto che anche Simon è pieno di dubbi e senza una risposta, proprio come me. Chissà se è rimasto a Parigi. Cerco il suo profilo Twitter e vedo che dice che risiede a “Paris (but not in no-go zone)”. No-go zone vuol dire un’area che è a rischio e che è accessibile a poche tipologie ti persone (tipo i militari). Chissà se Simon ha aggiunto “(but not in no-go zone)” dopo novembre e chissà che tra qualche giorno non lo aggiungerò anche io al mio profilo Twitter. Perché in fondo, tra dubbi e paure, io a Bruxelles ci rimango, così come Simon è rimasto a Parigi.

(fonte)

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