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Cronaca

Ricerca UniMoRe. Parte degli effetti del linfoma di Hodgkin possono essere evitati

Attraverso la ricerca UniMoRe del professor Massimo Federico si è dimostrato che molti pazienti affetti da Linfoma di Hodgkin possono evitare i gravi effetti collaterali di alcuni regimi di chemioterapia, grazie all'uso della PET-TAC

UniMoRe conquista un altro importante risultato nella ricerca europea, con lo studio RATHL, coordinato dal prof. Massimo Federico dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, attraverso il quale è stato evidenziato che molti pazienti affetti da Linfoma di Hodgkin possono evitare, almeno in parte, i gravi effetti collaterali di alcuni regimi di chemioterapia, grazie all’uso della PET–TAC, Tomografia ad Emissione di Positroni associata a una Tomografia Assiale Computerizzata.

Si tratta di un'apparecchiatura a tecnologia avanzata che è in grado di predire se un trattamento è efficace oppure no. Lo studio è stato appena pubblicato sula prestigiosa rivista New England Journal of Medicine. Lo studio è stato condotto  su più di 1.200 pazienti con linfoma di Hodgkin avanzato, sottoponendoli ad un esame PET/TAC, un test per immagini che, grazie alla somministrazione di piccole quantità di glucosio radioattivo, permette di evidenziare le zone colpite dal linfoma, dove questa sostanza si accumula.

Il professor Massimo Federico riferisce: “Siamo riconoscenti per la fiducia che ci hanno concesso i nostri pazienti acconsentendo a partecipare a questo ampio studio, scientificamente rigoroso e costantemente monitorato, mirato a massimizzare la efficacia delle cure con il minimo di tossicità possibile. L’esame PET-2 ci ha permesso di identificare i pazienti con una probabilità di guarigione considerevolmente alta (97% a 3 anni). Questo studio ha dimostrato che possiamo personalizzare la terapia, risparmiando a molti pazienti la tossicità polmonare causata da una continua esposizione alla bleomicina, oltre a ridurre ulteriormente il rischio di infertilità conseguente all’esposizione a chemioterapia intensiva."

Lo studio è stato finanziato dalla Cancer Research UK, dal Gruppo Australiano/Neozelandese per la lotta alle Leucemie e i Linfomi (ALLG) ed, in Italia, dalla Associazione Angela Serra per la Ricerca sul Cancro. Grazie a questa sperimentazione si è dimostrato che i pazienti che proseguivano il trattamento senza bleomicina avevano le stesse percentuali di guarigione di quelli che ricevevano lo stesso trattamento usato inizialmente.  

"Questo approccio - ha spiegato il professor Federico - associato ad una ridotta necessità di trattamento radioterapico in combinazione con la chemioterapia, riduce in maniera sostanziale i danni ai tessuti sani del paziente e il rischio di seconde neoplasie, altro grave effetto indesiderato di alcuni trattamenti chemioterapici. Dall’altra parte, il persistere di anomalie alla PET-2 ha permesso di identificare quella piccola popolazione di pazienti (circa il 15%) nei quali la malattia è più aggressiva e che necessitano di chemioterapia intensificata“.

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