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Cronaca

Violenza modenese: stupro di gruppo e stupro d'inchiostro

Intorno alla violenza sessuale che avrebbe visto protagonisti in una festa privata 5 giovanissimi modenesi e una ragazza di 16 anni, si muovono molte riflessioni, analisi e prese di posizione: sono veramente tutte necessarie?

“Non basta la condanna, ovviamente scontata”. É questo il più classico e ricorrente degli esordi di qualsiasi riflessione sui gravi fatti di violenza come quello che ha riempito le cronache cittadine, riguardo il presunto stupro di gruppo ai danni si una ragazza modenese di 16 anni. Un esordio che non a caso è tratto dalla riflessione del sindaco Giorgio Pighi, al quale hanno fatto eco altri politici locali, autorità varie, commentatori e giornalisti. Ma, se per una volta, provassimo invece a limitarci alla condanna, riscoprendo il valore del silenzio, dei fatti, del confronto in sede giudiziaria?

Se per una volta provassimo a farlo – solo un esperimento ci mancherebbe, non vorremmo snaturare la nostra essenza di popolo commentatore, voyeur e tuttologo – ci potremmo rendere conto di quanto il nostro dover sentenziare a tutti i costi ci porti così spesso fuori dal seminato. Scopriremmo ad esempio, per restare alle parole del sindaco Pighi, che può suonare strano dichiarare che “non si tratta di colpevolizzare i ragazzi, ma di rilevare una pericolosa carenza di strumenti culturali e di senso di responsabilità sulla quale tutti dobbiamo interrogarci”. Perchè questa storia della colpa del sistema ormai non si può più ascoltare. Scopriremmo anche che, nel dramma, è buffo scandalizzarsi e rimanere increduli di fronte al fatto che le famiglie non abbiano denunciato l'accaduto, come se gli adolescenti riferissero a mamma e papà quanto combinano di nascosto nei bagni, sia esso un atto aberrante o la prima avventura romantica.

Scopriremmo anche gli accorati appelli della presidente del Consiglio Comunale Caterina Liotti, “ferita come donna, come madre e come rappresentante delle istituzioni”, dimostrano sicuramente grande sensibilità, ma rischiano di essere l'ennesimo e pedissequo richiamo a “sensibilizzazione, prevenzione e percorsi educativi in età scolare” che ormai lasciano il tempo che trovano di fronte all'incapacità delle istituzioni di garantire una giustizia giusta. Così come si potrebbe scoprire che, per chi coglie l'occasione per richiamare pene più severe e sollecitare l'approvazione delle proprie proposte di legge in materia di violenza di genere, come appunto il Pd modenese, sarebbe ora di ammettere che è più comodo riempirsi la bocca di promesse di finanziamento all'associazionismo o al sociale, piuttosto che non votare la legge svuotacarceri o un prossimo indulto, rimettendo a piede libero gli uomini violenti.

O ancora, si potrebbe scoprire cosa significa non eccedere nel senso opposto, come fa l'Osservatorio dei Diritti dei Minori, che si dice “schifato dal fatto che un manipolo di maggiorenni sia ancora a piede libero dopo un fatto del genere”. Con buona pace di ogni buon senso sulla carcerazione preventiva e sul rispetto di quanto sta scritto nei codici. O, più in generale, scopriremmo che sarebbe rispettoso e serio non stroncare le obiezioni degli avvocati della difesa per partito preso, come se fossero semplicemente gli scudieri di giovani pervertiti traviati dall'alcol e dalla pornografia, ma attendere ricostruzioni corrette dei fatti, che certo non possono essere appurate da un esame medico-scientifico. Così come scopriremmo che descrivere la 'Modena bene' come un “mondo di sola superficie che esplode nella violenza” e giornalisticamente molto affascinante, ma forse un po' comodo e banale. E si potrebbe continuare.

Se, in conclusione, quella “condanna scontata” per una volta bastasse davvero, potremmo forse dire di aver realizzato qualcosa di più semplice, ma in fondo più giusto: accertare i fatti, punire i colpevoli, prendersi cura di una vittima. Avremmo costruito meno castelli di carta e riempito meno pagine di stampa, il che non sarebbe necessariamente un male.

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