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Economia

Il secondo rinascimento della civiltà, intervista ad Anna Spadafora

A tu per tu con la responsabile scientifica del convegno “La direzione intellettuale dell’impresa in Italia, in Europa e nel pianeta” in programma oggi al Laboratorio Aperto di Modena

In un’epoca in cui le trasformazioni digitali, ecologiche ed energetiche si susseguono ad un ritmo sempre più incessante quale potrà essere in futuro il ruolo di chi opera nel tessuto economico? Di questo e di altri pressanti interrogativi avrà modo di occuparsi oggi presso il Laboratorio Aperto di via Buon Pastore 43 il convegno La direzione intellettuale dell’impresa in Italia, in Europa e nel pianeta, organizzato dall’Associazione culturale Progetto Emilia Romagna, in partnership e sponsorship con TEC Eurolab.

L’appuntamento, reso ancor più stringente dal clima di generale incertezza provocato dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, rappresenta un importante momento di confronto tra i diversi attori che con il loro intervento sono chiamati a dare la propria testimonianza in merito alla profonda rivoluzione in atto in ciascun settore dell’industria e della società civile. Compito di non semplice portata, soprattutto in considerazione dei preminenti risvolti di carattere culturale di cui l’iniziativa intende farsi carico. A tale proposito, abbiamo intervistato la responsabile scientifica Anna Spadafora, brainworker, analista, direttore editoriale della rivista La città del secondo rinascimento.

Alla luce del periodo, alquanto complesso, che stiamo attraversando, il convegno in programma assume, dottoressa Spadafora, un significato particolare.

Le rispondo con un celebre brano tratto dall’Arte della guerra di Niccolò Machiavelli: “Molte volte, per la paura solamente, sanza altra esperienza di forze, le città si perdono”. Per paura, c’è chi non combatte, quindi ha già perso. E la paura è pronta a sorgere quando i problemi sembrano moltiplicarsi fino a diventare insormontabili, come quelli che cittadini e aziende incontrano oggi a causa dell’aumento esorbitante del costo dell’energia, per esempio. Ma spesso gli umani dimenticano che i problemi non significano la “fine”, la fine di un’impresa, di un’esperienza, di una nazione. Se vengono affrontati con gli strumenti dell’intelligenza e con le armi della parola, i problemi sono pretesti per un progetto e per una scommessa. Proprio quando il mare è in tempesta, occorre mantenere la rotta, servirsi di una bussola che non può perdersi: il cervello, la direzione intellettuale. Non a caso, il Forum di oggi pomeriggio sarà l’occasione per discutere del libro di Paolo Moscatti La mia bussola. L’amicizia, la famiglia, l’impresa (Spirali), giunto alla seconda edizione in pochi mesi: mai come oggi la bussola è indispensabile non soltanto nell’impresa, ma anche nella scuola e nella famiglia. Senza la direzione intellettuale, ognuno, preso dalla paura, si abbatte e soccombe, anziché cercare la via per proseguire e rilanciare.

A cominciare dai primi anni duemila, e in particolar modo nell’ultimo biennio, il mondo ha conosciuto un’evoluzione senza precedenti sotto ogni punto di vista.

Che la trasformazione in atto negli ultimi vent’anni sia senza precedenti è innegabile. Tuttavia, la trasformazione non è “evoluzione” o “progresso”, concetti che portano con sé quelli di “involuzione” e “regresso”. Il viaggio della vita non è lineare né circolare, le acquisizioni della scienza, il percorso culturale e il cammino artistico non sono in salita o in discesa, a seconda dei periodi storici. Il valore delle cose che si fanno nella vita è assoluto, mentre spesso si attribuisce un valore alle cose sulla base di un riferimento ideale: il concetto di progresso è uno di questi riferimenti ideali secondo cui, per esempio, un giovane dovrebbe indiscutibilmente preferire di specializzarsi in tecnologie digitali piuttosto che in restauro di auto d’epoca. La vita, nella sua complessità, esige ciascuna cosa, il digitale come il manuale, e non ci sarà mai una totale sostituzione di un mezzo a vantaggio di un altro, perché anche i mezzi e gli strumenti più mirabolanti sarebbero inutili senza la parola, senza la direzione intellettuale. Chi crede nell’evoluzione e nel progresso immagina e paventa realtà distopiche in cui addirittura un giorno le tecnologie prenderanno possesso dell’umanità, dimenticando che l’intelligenza artificiale non è affatto “intelligente”, è uno strumento per compiere operazioni con una velocità e una precisione impensabili fino a qualche decennio fa, ma non è in grado di prendere decisioni al posto dell’uomo, nonostante a volte sentiamo domande assurde nei dibattiti sulle nuove tecnologie del tipo: “Un’AI (intelligenza artificiale) può essere meglio di una persona nel governo di un paese?”.

Non di rado, gli storici rimarcano l’assoluta rilevanza dei mecenati nello sviluppo di uno dei periodi più fecondi dell’umanità, il rinascimento. Sarà così anche in un prossimo futuro? E, se sì, quale potrà essere la funzione del settore imprenditoriale?

A questo riguardo cito soltanto TEC Eurolab, un esempio di impresa che va oltre il mecenatismo, un’impresa il cui capitale intellettuale non è costituito una volta per tutte perché un’impresa in viaggio, in cui ciascuno che vi lavora non è spinto da uno spirito mercenario, ma da una curiosità incessante che assicura la propria crescita sia tecnica sia culturale. Grazie a imprese come questa e alle occasioni di parola e di dibattito libero che offrono, i cittadini hanno l’opportunità di divenire attori del secondo rinascimento, non consumatori di prodotti o di cultura preconfezionata.

Oligarchie economiche e finanziarie si frappongono ogni dove a qualsiasi tentativo di estensione delle opportunità individuali. A suo giudizio, quanto pensa sia in grado di incidere la direzione intellettuale del management in un concreto cambiamento nel rapporto tra proprietà e singolo lavoratore?

 Non basterebbe un intero libro per rispondere alla sua domanda, ma partiamo dal 1988, quando l’economista Emilio Fontela (direttore del Dipartimento di economia dell’Istituto Battelle di Ginevra) rilevò nel Programma Fast della Comunità europea la figura del brainworker, un “lavoratore di cervello” che sarebbe stato essenziale nella cosiddetta società dell’informazione. Qualche anno dopo, Fontela pubblicava con la casa editrice Spirali Sfide per giovani economisti e Come divenire imprenditore nel ventunesimo secolo, due libri in cui, per la prima volta, veniva delineato il profilo dei brainworkers, lavoratori-imprenditori, che “si esaltano di fronte ai problemi complessi, apprezzano la difficoltà dell’astrazione semplificata […]; immaginativi e curiosi, recuperano la tradizione intellettuale di Leonardo da Vinci, abbattendo le barriere fra l’arte e la tecnologia. Essi preparano, in tal modo, un ‘secondo rinascimento’: sono i ‘nuovi intellettuali’, la grande speranza di rinnovamento dell’intellettualità del ventunesimo secolo”. Lo statuto del brainworker non è una prerogativa esclusiva di qualche categoria sociale o professionale: un imprenditore, così come un impiegato, può divenire brainworker, se ha un approccio intellettuale al lavoro e alla vita. Questo statuto era stato in qualche modo anticipato negli anni settanta da Armando Verdiglione, inventore della cifrematica (la scienza della parola che diviene cifra, qualità, valore assoluto), quando auspicava “una società senza salariati e senza assistiti”, una società in cui il cervello delle imprese non fosse localizzato nel cranio dell’imprenditore. Oggi questa trasformazione è in atto nei paesi industrializzati e forse le oligarchie e le burocrazie che si oppongono all’iniziativa dei singoli non fanno che accelerarne il passo. Per questo possiamo dire che le cosiddette Grandi dimissioni (Great Resignation), non sono tanto un segnale della tendenza alla fuga dal lavoro, ma indicano che sta nascendo un movimento di brainworkers, che promuove la vera quarta rivoluzione industriale: la rivoluzione intellettuale.

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