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Economia

Crac banca Tercas, c'è anche Samorì tra gli indagati

Il banchiere nonché editore modenese figura nell'elenco dei nove imprenditori indagati per associazione a delinquere in merito al creac dell'istituto di credito abruzzese

Sarebbe accusato di associazione a delinquere il tycoon modenese Giampiero Samorì: il leader dei Moderati in Rivoluzione, formazione tra le fila berlusconiane alle ultime elezioni politiche, figura infatti tra le personalità coinvolte nell'inchiesta condotta dalla Procura di Roma che, nella giornata di ieri, ha portato all'arresto di Antonio Di Matteo, ex direttore generale della Banca Tercas, istituto di credito operante per lo più nella provincia di Teramo commissariata alcuni mesi fa con decreto del Ministero dell'Economia, su richiesta della Banca d'Italia, per gravi perdite patrimoniali. L'uomo è stato fermato dagli uomini del nucleo di Polizia valutaria della Guardia di Finanza ad Avezzano. Nei suoi confronti e per altre 18 persone indagate, le accuse sono di bancarotta fraudolenta, ostacolo all'attività di vigilanza e associazione per delinquere. Gli imprenditori accusati di associazione a delinquere sono in totale nove. Tra loro imprenditori Francescantonio Di Stefano, del settore televisivo, Raffaele Di Mario e Cosimo Di Rosa (Gruppo Dimafin), Antonio Sarni (settore autogrill), Pancrazio Natali, Pierino Isoldi (immobiliaristi) e, per l'appunto, Giampiero Samorì che, interpellato dalla Gazzetta di Modena, ha detto essere sotto indagine per "ostacolo all'attività di vigilanza".

Sentito anche dall'agenzia giornalistica Dire, Samorì ha minimizzato: "In merito avrei molto da dire - ha esordito - ma dirò semplicemente che è una cosa priva di senso. Sapevo dell'inchiesta da tre anni, non mi hanno mai interrogato e quando ho chiesto alle autorità se ci fosse bisogno di chiarimenti mi hanno risposto che non c'era bisogno di un interrogatorio". Non è finita qui: "Detto questo, il giudice ha fatto benissimo a seguire la procedura, noi comunque, abbiamo tutti i documenti in regola e sono sicuro che che la vicenda finirà in maniera positiva". Il leader del Mir ha poi concluso sottolineando che "subito dopo l'interrogatorio, se legittimo, metterò su internet tutti gli atti del processo penale in piena trasparenza perchè non ho niente da nascondere".

Secondo l'accusa, gli imprenditori oggetto di indagine si sarebbero impossessati della banca finanziandola fittiziamente ottenendo prestiti milionari "fuori dai protocolli", un fiume di denaro però non veniva mai restituito. Nell'ordinanza di 80 pagine firmata dal gip Wilma Passamonti, è stato evidenziato che grazie "al potere assoluto di decisione di Di Matteo sulle pratiche di concessione di finanziamenti al di fuori del protocolli di garanzia" gli imprenditori ottenevano "cospicue somme di danaro (fino a 49 milioni di euro per Di Stefano, ndr) a titolo di finanziamento in carenza dei presupposti di merito creditizio a fronte della disponibilità ad effettuare operazioni di acquisto con patto di rivendita di azioni della banca (cosiddetto Portage)". Un meccanismo, per gli inquirenti, che ha determinato una "sofferenza" per l'istituto di credito per 220 milioni di euro. Il gip ha disposto il sequestro preventivo di rapporti finanziari, partecipazioni societarie, beni immobili e mobili per un totale di quasi 200 milioni di euro.

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