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L'intervista | The New Yorkers, un insolito spaccato della vita americana

Dall'8 ottobre in mostra presso il Consorzio Creativo di via dello Zono a Modena, gli scatti di Marco Bottazzi sugli aspetti meno conosciuti di una città e di un paese da sempre nel cuore degli italiani

Cogliendo l'immancabile curiosità per l'American way of life, il Consorzio Creativo di Modena presenta in prima assoluta nella sua sede di via dello Zono  una delle più originali rassegne fotografiche ospitate negli ultimi tempi in città. Parliamo di "The New Yorkers" che dal prossimo 8 ottobre avrà modo di farci conoscere da vicino l'attuale condizione culturale e sociale del paese d'oltre oceano e in particolare della cosiddetta Grande Mela, da sempre nel cuore degli italiani. Autore degli scatti è Marco Bottazzi, in uscita in questi giorni con il suo primo libro, un'affascinante raccolta delle immagini presenti, in buona parte, nella personale.  

L'inaugurazione della mostra e il correlato volume dal titolo omonimo segnano per te un importante momento di incontro con il pubblico. Ma quando nasce, in realtà,  la tua passione per la fotografia? "A metà degli anni '90 dopo essere stato letteralmente folgorato da un'opera, A Vision Shared,  sui reporter delle Farmer Security Administration, l'organo governativo statunitense sorto a tutela degli agricoltori durante la Grande Depressione. Da allora il mio interesse per questa disciplina artistica si è sempre  rivolto da una parte alle potenzialità tecniche delle fotocamere e della stampa  e, dall'altra, allo studio degli autori nonché alle possibilità offerte dalla comunicazione di massa."

Le immagini esposte rappresentano un nuovo modo di vedere attraverso l'obiettivo: come definiresti lo stile che ti contraddistingue? "Sebbene non ami troppo le etichette, posso, comunque, dire che risente parecchio della tendenza di quella che oggi viene chiamata street photography, anticipata da grandi maestri  del dopoguerra  come Henry Cartier-Bresson, Saul Leiter e Robert Frank. Lavorare su questo genere di fotografie, dove i soggetti principali sono la persona e lo sfondo del paesaggio urbano, è per me una vera e propria sfida, soprattutto per la difficoltà di evidenziare il rapporto tra l'uomo e la città, testimonianza concreta del nostro tempo in ogni sua sfaccettatura."

"The New Yorkers" è incentrato sugli Stati Uniti e nello specifico sulla grande metropoli della costa orientale: perché questa scelta? "Come molti della mia generazione, sono cresciuto con il mito dell'American Dream, alimentato dal cinema, dalla musica e dai romanzi di John Steinbeck, Jack Kerouac, Philip Roth e Paul Auster.  Un patrimonio enorme che anche oggi continua ad affascinarmi per i suoi forti contrasti che mi consentono di mettere a confronto il mio immaginario con la realtà."

Quanto sono cambiati gli Stati Uniti  dai tuoi primi viaggi? E in che cosa? "Nelle  metropoli è cresciuto il disagio specie fra le diverse minoranze etniche. Tuttavia ogni americano a prescindere dalla razza, dal credo politico o religioso condivide con i suoi concittadini un grande amore per la Old Glory, la bandiera nazionale, anche dopo la crisi economica e finanziaria."

Gli scatti che hai realizzato  ricordano i quadri di Edward Hopper: cosa ritieni di aver ereditato dal grande pittore del secolo scorso? "Il suo modo di intendere il paesaggio, non  tanto riferito ai monumenti o alle grandi vedute bensì  ai territori urbani caratterizzati da siti industriali, ponti, semplici strade, interni di motel,  bar, cioè dagli elementi fondativi della contemporaneità. E, oltre a ciò, aggiungo  la sua capacità di descrivere, più di ogni altro, un senso di solitudine abissale, eloquente raffigurazione del vuoto con cui, spesso, l'uomo moderno è costretto a misurarsi. "

Quando si guarda una fotografia di viaggio, molti pensano di trovare la bellezza dei paesaggi o dei monumenti noti. Tu, al contrario, ti soffermi su altri aspetti meno eclatanti. Per quale motivo? "Perché sono più reali. Nel caso di The New Yorkers, lo sfondo dei palazzi, delle strade, dei taxi e delle insegne, riportano  soggetti immortalati nella loro quotidianità, cioè quello che meglio identifica il mio modo di vedere e di sentire. Del resto non dice forse quell'adagio di mettere insieme tutte le fotografie se si vuole avere il vero ritratto del loro autore? "

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