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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cultura

Zoologia, la ricerca Unimore esplora i cambiamenti climatici e i "simpatici" tardigradi

Ricercatori Unimore rivelano sorprendenti novità sulla resistenza dei tardigradi antartici ai cambiamenti climatici evidenziando come questi diffusi animaletti abbiano una buona resistenza se non sottoposti a condizioni combinate di stress elevati e di lungo periodo

La rivista Journal of Experimental Biology ha recentemente pubblicato un importante lavoro scientifico frutto degli studi condotti presso il laboratorio di Zoologia Evoluzionistica da un gruppo di ricercatori Unimore, coordinato dalla prof.ssa Lorena Rebecchi, comprendente anche il prof. Roberto Guidetti e la borsista Ilaria Giovannini del Dipartimento di Scienze della Vita e la ricercatrice dott.ssa Tiziana Altiero del Dipartimento di Educazione e Scienze Umane.

Lo studio ha cercato di dare una risposta alla possibilità di sopravvivenza ai cambiamenti climatici dei tardigradi antartici. Non è la prima volta che i curiosi animaletti dalle sorprendenti acaratteristiche sono al centro delle attenzioni dei ricercatori Unimore, che in altre circostanze hanno addirittura svelato la proteina che li rende capaci di sopravvivere a condizioni estreme.

I dati raccolti e pubblicati dai ricercatori modenesi hanno consentito di evidenziare come i tardigradi abbiano una buona resistenza ai cambiamenti climatici, ma l’effetto combinato degli stress potrebbe causare una riduzione delle popolazioni se questi cambiamenti fossero molto elevati e di lungo periodo. “Tuttavia, supponendo che i cambiamenti climatici globali procedano gradualmente, i tardigradi – fanno sapere i ricercatori Unimore - così come molti altri organismi antartici, potrebbero avere il tempo e la capacità di adattarsi alle nuove condizioni ambientali, sempre che l’ambiente circostante non si trasformi così radicalmente da non riuscire più a mantenere l’habitat adatto per la loro sopravvivenza”.

In ambienti estremi quali quelli antartici, i tardigradi sono assai diffusi ed abbondanti . Questi animali, detti anche orsetti d’acqua per il loro aspetto pacioso, sono microscopici (< 1 mm), hanno otto zampe con le quali si muovono su muschi e licheni di cui si nutrono attraverso due stiletti appuntiti che gli escono dalla bocca. I tardigradi riescono a vivere alle basse temperature dell’Antartide, che possono scendere fino a -60°C, grazie alla loro capacità di congelarsi o seccarsi insieme al substrato in cui vivono per poi tornare attivi quando le condizioni ambientali ritornano idonee. Quando sono secchi, il loro metabolismo è sospeso e in questo stato fisiologico, detto anidrobiotico, sono in grado di resistere a temperature più elevate di quella di ebollizione dell’acqua, a temperature vicine allo zero assoluto (-253°C), a forti radiazioni ionizzanti, al vuoto assoluto e a pressioni inimmaginabili.

“Ma quando questi animali sono attivi, non sono secchi, - si sono domandati i ricercatori Unimore - qual è la loro capacità di resistenza? Riusciranno a sopportare il riscaldamento del loro ambiente e l’aumento delle radiazioni UV dovute al buco dell’ozono presente sull’Antartide?”. Per rispondere a queste domande i ricercatori del laboratorio di Zoologia Evoluzionistica del Dipartimento di Scienze della Vita di Unimore, hanno esposto in laboratorio animali attivi e animali secchi della specie Acutuncus antarcticus raccolti in Antartide ed allevati a Unimore, a temperatura e radiazioni ultraviolette elevate.

I ricercatori hanno prima sottoposto gli animali e le loro uova ai singoli stress e poi a stress combinati (alta temperatura + UV). Da questi esperimenti è emerso che gli animali sopravvivono bene ai singoli stress, ma gli stress combinati hanno un’azione sinergica negativa riducendo leggermente la sopravvivenza. Sorprendentemente quando gli animali secchi sono sottoposti ad entrambi gli stress, come avviene in natura, la loro sopravvivenza cala più di quella degli animali in stato attivo. “Probabilmente – spiegano i ricercatori Unimore - a causa del fatto che quando sono attivi riescono a riparare in breve tempo i danni causati alle molecole (es. danni al DNA causato dagli UV), mentre in stato anidro i danni si accumulano ed una volta riattivati gli animali non sono più in grado di ripararli”.

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