Festivalfilosofia, ieri sera in scena le cose (banali) di Fabio Volo
Un intervento di oltre un'ora in Piazza Grande, ma Volo non è stato in grado di sfruttare al meglio gli spazi: ripetitivo, banale e autocelebrativo, lo scrittore ha deluso le aspettative di un pubblico piuttosto tiepido
Ci sia permessa un’infrazione: partiamo dalla fine delle Conversazioni di Fabio Volo con Beppe Cottafavi, partiamo allora dalle domande del pubblico allo scrittore-comico-istrione-
Errore. A nostro modestissimo parere, l’opportunità concessa è stata sfruttata male e con superficialità, a partire dall’ingresso in scena dei due ‘conversanti’, a loro dire provati da una cena di gala in cui si è mangiato molto e bevuto di più. Già la prima domanda di Cottafavi doveva far intuire di cosa si sarebbe parlato per l’intera ora e passa dell’intervento: “Fabio, perché il tuo successo fa rosicare?” La risposta è partita da molto lontano: Volo ha infatti ripetuto per l’ennesima volta la storia della sua famiglia, dove il padre era panettiere e il giovane figlio lo seguiva al lavoro, dove si stentava a tirare fine mese, dove lo studio non era apprezzato, dove non si leggevano libri. Tutti questi sono stati i motivi per i quali, a suo dire, nonostante gli studi siano terminati in terza media, gli hanno instillato quella voglia di riscatto che gli ha permesso di arrivare dove è ora, a dispetto di tutti gli “invidiosi e i detrattori”, quegli stessi a cui Volo si è di fatto rivolto sempre, in ogni istante dell’intervento, cercando contro i critici la facile approvazione del pubblico con battute banali e sempre uguali a se stesse, con citazioni molto più che colte (sull’onda di Benigni, una Divina Commedia recitata male, di fretta, senza nessuna partecipazione ma soltanto per dare sfoggio di sé), utilizzate come arma per difendere sé e offendere il pubblico presente: per capirci, una cosa del tipo, io conosco il campionario dei migliori autori viventi, amo moltissimo Philiph Roth (in quanti frequentano le avventure di Zuckerman?), gli autori russi, Herman Hesse, e ho chiesto a mia madre i soldi per comprare il Paradiso dantesco soltanto perché mi ispirava, ma lo leggevo così, nel tempo libero… Però nello stesso tempo sono uno di voi, uno qualunque, a cui i soldi servono non per “comprare auto di lusso ma per poter curare, se ce ne fosse bisogno, i genitori bisognosi con le migliori cure possibili”. Se non è facile populismo questo.
Ma di cose se ne è parlato, visto che, per quanto Volo non fosse un filosofo il Festival parla di questo? Poco o niente: delle cose Volo è riuscito a dire due parole soltanto riferendole a se stesso, nonostante di cose sia pieno il mondo e soprattutto siano piene le copertine dei suoi romanzi. Queste le 5 cose importanti per Fabio Volo, in questo ordine: “1. Mangiare bene. 2. Leggere bene. 3. Fare qualcosa per l’anima. 4. Cercare qualcosa di mistico per trascendere lo spirito. 5. Qualcuno da amare per il suo cuore”. Di oggetti, anche qui, se ne vedono pochi, come abbiamo detto il focus non si è mai spostato per un solo istante dal se stesso parlante e in costante difesa. Sarà per questo che il pubblico, a quanto abbiamo visto, non ha mai esagerato con gli applausi.
E chiaramente, dopo quest’oretta di vuote conversazioni, le domande della platea, da cui siamo partiti, sono arrivate come l’ossigeno: e a parte quelle delle fan ammirate, accanitissime contro quei poveretti in piedi e scomodi che osavano frapporsi tra loro e il Volo nazionale, spicca su tutte sempre la stessa, quella che in molti avrebbero voluto formulare senza però che si sia osato dirlo a voce troppo alta: “Fabio, perché sei qui?” Noi la risposta non ce l'abbiamo, ma le prime impressioni arrivano da Facebook, dove oggi c'è chi definisce Volo "acclamato sciorinatore di frasi dei Baci Perugina e di destra a sua insaputa, che sfida all'applausomentro i "soliti idioti", e chi invece lo liquida così: "Io c'ero, ma, dopo un quarto d'ora speso a sentirlo parlare della sua vita, siamo capitolati e ci siamo dati all'alcol!"