Sala Truffaut, tutte le proiezioni della settimana
Continua la programmazione di Sala Truffaut, lo spazio di Via degli Adelardi che offre produzioni contemporanee e cinema d'autore nel centro di Modena da oltre vent'anni.
Martedì 29 settembre alle ore 21.15, prima visione di "Varda par Agnès" (Francia 2019, 120') di Agnes Varda e Didier Rouget.
La trama: Il megacuratore Obrist chiama la regista francese a fare una videoinstallazione, lei ne è affascinata, trova un nuovo pubblico: e l'aura dell'arte si riflette sulla sua opera pregressa e illumina quella nuova, come mostra questo film-testamento. Una antologia personale, un'opera omnia in scatola, simpatica, maneggevole, per nulla pretenziosa (è un format poi usato da altri artisti con risultati vari, da Douglas Gordon a Cattelan). Sgnès distilla pillole di saggezza (“ispirazione, creazione, condivisione”), è chiara e illuminante, ricostruisce a volo d'uccello mondi interi, mostra cose molto belle, scompare tra vento e sabbia.
Ancora un'imperdibile prima visione mercoledì 30 settembre alle ore 21.15. In cartellone "Ema" (Cile 2019, 107') del grande regista cileno Pablo Larrain.
La trama: A Valparaiso, Cile, tra la cordigliera e l'oceano, Ema è una madre, una sorella, una figlia, un'amante, una moglie, una ballerina. “Ed è il sole” dice Larrain. Perché tutto gira intorno a lei e al suo obiettivo: riprendersi Polo, figlio di un'adozione fallita, restituito ai servizi sociali, affidato a una nuova coppia. Per ricostruire una famiglia, la sua, col bimbo piromane, col compagno coreografo, con le compagne di ballo, con tutti quelli che ama ma di cui non è innamorata, Ema deve riscrivere l'idea di famiglia che conosciamo, distruggere per costruire di nuovo. Il traffico si muove al muoversi della sua giovane in fiamme, segue i passi di reggaeton, e il film la ammira, la emula, batte al suo battito, balla con lei, parla il suo linguaggio, che è quello del videoclip ben prima che del cinema d'essai.
Il mese di ottobre si apre in sala Truffaut con un ennesimo capolavoro restaurato. Si tratta di "La cinese" (Francia 1967) di Jean-Luc Godard, in programma giovedì 1 ottobre alle ore 21.15.
La trama: In un appartamento parigino cinque giovani organizzano la cellula marxista-leninista Aden-Arabia, scrivendo slogan sui muri, leggendo il libretto rosso di Mao e discutendo, per poi passare goffamente all'azione. Forse il più noto film di Godard, che qui utilizza alcuni procedimenti stilistici che si sono identificati col “godardismo” (la conservazione del ciak all'inizio delle riprese, la sottolineatura del “cinema nel cinema” con scene in cui si vede l'operatore Coutard intento alle riprese, didascalie con funzioni di straniamento brechtiano, lo stesso regista che interroga fuori campo un attore) e rivaluta le teorie di Ejzenstejn sul montaggio. Godard mette costantemente in rapporto tra loro le forme visive della cultura contemporanea e numerosi riferimenti letterari con la realtà che dà vita a quelle forme. E filmando i brandelli di un mondo che comincia a trovare un senso unitario nella politica, il regista anticipa la tensione utopica che annuncia la rivolta studentesca del '68. Tuttora sconvolgente il dialogo tra la studentessa Veronique e Jeanson (filosofo sartriano), dove la lucidissima logica politico-rivoluzionaria del secondo sottolinea il velleitarismo teorico della prima e dei gruppuscoli filo-cinesi.
Ancora, venerdì 2 e sabato 3 ottobre alle ore 21.15 e domenica 4 ottobre alle ore 20.30 viene proiettato il film "Volevo nascondermi" (Italia 2020, 120') di Giorgio Diritti.
La trama: C'è molto di Ligabue nel film. Ci sono la Svizzera e l'Italia, l'Emilia e Roma; ci sono la follia, la libertà del reietto e la condanna alla solitudine; ci sono le tante lingue della sua vita, lo svizzero-tedesco delle origini, l'italiano dei medici e dei podestà, il dialetto emiliano. C'è la prova mimetica di Elio Germano, tenuta in minore e ricalcata sui materiali video disponibili del pittore del popolo, l'artista matto che riproduceva, come dice il curatore della sua prima esposizione personale, la violenza primordiale della natura. C'è ancora nel film di Diritti una rappresentazione precisa e toccante della provincia padana negli anni del fascismo e del Dopoguerra, un mondo che esprime il senso profondo dell'opera di Ligabue attraverso il genuino stupore verso i suoi lavori. A una prima parte rapsodica e piena di flashback fa eco una seconda più piana e malinconica. A esprimere concretamente l'immediatezza di Ligabue, il suo gesto pittorico ci sono le opere originali che compaiono nei titoli di coda e che mettono in evidenza le pennellate spesse, la materia netta e contrastata. Nel film, Diritti mostra l'artista in rivolta contro la tela, intento a spezzare tavole, distruggere sculture, cancellare un affresco, come se volesse proteggere il suo mondo interiore, protetto dal sacco che nella prima scena del film copre il corpo del malato recluso e nascosto agli occhi sani di chi non può raggiungere la mente di un folle.