Castelnuovo, l'arte di Zeno Bertolozzi inaugura a Villa Ferrari
All’interno di Villa Ferrari, nuova sede della biblioteca comunale Luis Sepulveda di Castelnuovo Rangone, l'arte è protagonista con le sculture di Zeno Bertozzi e la sua mostra “Intermezzo”, a cura di Giorgia Cantelli, Alessandro Mescoli e Massimiliano Piccinini, con la collaborazione dell'associazione Ricognizioni sull'arte.
“Le sale della nuova biblioteca Luis Sepulveda all’interno di Villa Ferrari sono il nuovo polo culturale del paese e ben si prestano a mostre personali d’autore – afferma Stefano Solignani, Assessore alla Cultura del Comune di Castelnuovo Rangone –. In questo caso abbiamo l’onore di ospitare le ceramiche di Zeno Bertozzi, opere suggestive che ci invitano a una riflessione sul tema del tempo”.
La mostra, una personale di ceramica contemporanea e scultura dell'artista originario di Castel San Pietro Terme, sarà inaugurata sabato 9 settembre alle 17 e sarà visitabile ogni sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18, fino al 1° ottobre.
“Per comprendere in profondità le sculture di Zeno Bertozzi, occorre osservarle con la lente del tempo – si legge nel testo di accompagnamento scritto da Alessandro Mescoli –. Svelare lentamente un nuovo lavoro d’autore che sincreticamente riesce a coniugare tra loro istanze artistiche diverse tra le più segnanti del Novecento. Fra queste è riconoscibile nel suo contributo privilegiato un’attenzione alle neo-avanguardie e più precisamente 'all’arte concreta'. Di quest’ultima Zeno prende a prestito i modelli di pulizia e semplice complessità che gli artisti di quella tendenza utilizzarono per ottenere un rifondato linguaggio espressivo, prendendo le distanze dal lirismo, dall’arte formale e dall'astrazione non geometrica che andavano via via 'storicizzandosi rapidamente'.
Anche altre esperienze successive come il neo concretismo sono visivamente riconoscibili nelle sculture dell'artista imolese, il quale evidenzia nella produzione più recente oltre ad uno spiccato gusto estetico, anche uno sguardo all’arte minimalista americana. Un lavoro fin qui dominato da un’ossatura di equilibri, proporzioni e superfici. E volumi. Solidi di rotazione che si affrancano manifestando all’osservatore l’inattesa presenza di toroidi e ovoidi quali elementi puri preferiti dall’autore. Anche le stesse superfici sono spurie: non veramente bidimensionali, ma armonizzate da un loro necessario spessore, che le riporta ad un sapore da nuova 'icona'.
Come ad indicare una via d’uscita, o la nascita di una nuova soluzione stilistica, avviene poi la compenetrazione ideale attraverso un solido immaginario. Frequentemente nelle sculture di Zeno vi è la presenza di un vuoto, che colma uno spazio e che manifesta la possibilità concessa ad un volume di rendersi noto; sostanziarsi attraverso un’intuizione in levare, un negativo. Un’impronta in assenza. Attraverso questo artificio plastico messo in atto dall’artista, un corridoio ottico porta in relazione, con un gioco di corrispondenze proprie da nastro di Moebius, il passaggio da una dimensione all’altra: Zeno ci traghetta dalla superficie al volume, dall’interno all’esterno, riconducendoci nuovamente al tema iniziale della proporzione (Divina?), qui richiamata attraverso la 'lemnis cata', la funzione matematica dell’infinito che lega l’uomo alla sua dimensione cosmogonica. In-finita.
Ma ecco inaspettatamente intervenire un desiderio romantico, una fascinazione breve nella pulsione progettuale di Zeno, ma dilatata nell’agire e nel suo divenire, che porta l’autore ad aggiungere un 'glitch', un rumore erosivo, che anticipa lo scorrere del tempo vissuto dall’opera e lo avvicina al proprio destino finale. Rallentando il momento dell’allontanamento dell’artista dalla risoluzione della scultura, Bertozzi agisce sulla superficie dell’oggetto creando alveoli, anecoiche aree di assenza nell’omogeneità del deposito, che rendono il volume così consunto e turbato; ricco di malia. La grandezza più astratta per eccellenza si avvicina secondo il nostro scultore ai temi più tipici del Romanticismo, il confronto con l’uomo, ed il suo ineluttabile subirlo.
Qui, in questo intermezzo, si dipana il lavoro più intimo e definitivo: lo scultore attua una scrittura automatica, una narrazione senza immagini, dove il confronto diretto (forse per catarsi) avviene con il tempo. Anzi con un tempo tra i tempi, tra tutti quelli necessari alla genesi dell’opera. Il procedere manuale di un lavoro performativo (se proprio la classificazione artistica si ritiene necessaria), concentrato solamente sul suo stesso agire che paradossalmente potrebbe durare all’infinito, un rimaneggiare continuo della materia, gesso, sintetico, o ceramica che sia. Analogamente a quanto avviene nello scheletro umano, dove la trabecolatura si pone in forte assonanza visiva con le superfici operate secondo il volere e la 'coscienza di Zeno'.
Intenzioni e azioni che portano a riconsiderare questo tipo di scultura, come un relitto dell’operare dell’artista, registratore inorganico di movimenti istintivi e reiterati, interprete dipendente del tempo che rilega insieme vari movimenti, come nel teatro, dove più scene si susseguono. L’intermezzo, il tempo aperto di Zeno Bertozzi, porta inevitabilmente alla percezione del suo fluire non lineare, intrinsecamente legato alle stagioni, alla vita del produrre e del consumare.
Il resto, come la forma, è puro pretesto e fascinazione”.