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Quirinale: dopo avere affossato Romano Prodi, il Pd implode

Partitone ormai senza più bussola: Pier Luigi Bersani ("Uno su quattro ha tradito") e Rosy Bindi rassegnano le dimissioni da ogni incarico dirigenziale. Sabato mattina, i democratici voteranno scheda bianca

Ha il sapore della tragedia l'epilogo di questa seconda giornata di votazioni per il dodicesimo Presidente della Repubblica. Dopo avere affossato la candidatura di Romano Prodi grazie all'evitabile contributo di un centinaio di franchi tiratori, nel Partito Democratico è giunto il momento ineluttabile del redde rationem: ad abbandonare ogni incarico dirigenziale sono stati il segretario Pier Luigi Bersani e la presidente Rosy Bindi.

In questo venerdì nero per il centrosinistra italiano, il Professore è finito vittima della "guerra" interna al Pd o, come meglio dice Paolo Gentiloni, del "cupio dissolvi" di un partito che ha ormai perso la bussola. A sera Bersani ne ha tratto le conseguenze e ha annunciato il suo abbandono spiegando che, subito dopo il voto per il Colle, si dimetterà dall'incarico. Lo ha fatto nell'assemblea infuocata dei grandi elettori, vero e proprio gabinetto di guerra, durante il quale ha fatto esplodere tutta la sua rabbia: "Uno su quattro ha tradito, questo è troppo. Non lo accetto".

L'ennesima giornata da dimenticare per il Pd, il "funerale definitivo" secondo l'immagine che gira in Transatlantico, si è aperta con l'assemblea dei Grandi Elettori che ha provato ad uscire dalla prima botta della bocciatura di Franco Marini. Ma, spiegano fonti dem, in un partito già tramortito, un colpo in più l'ha dato la decisione di non mettere ai voti la scelta di Romano Prodi. "Bersani - ha spiegato un dirigente - ha forzato perché gli accordi di ieri sera (giovedì) erano che si sarebbe votato a scrutinio segreto su più nomi". Ed invece il segretario ha proposto solo il nome di Prodi e Luigi Zanda, a quanto si apprende, ha chiesto alla platea se era il caso di continuare con lo scrutinio segreto. "L'applauso di una decina di prodiani - ha aggiutno la fonte - ha chiuso il dibattito, peccato che metà assemblea fosse rimasta seduta". Una scena davanti alla quale una dei massimi sponsor della candidatura del Professore, Rosy Bindi, che poi si è dimessa dalla presidenza del partito, ammette che sarebbe stato meglio votare. Perché da quel momento in poi, nonostante i tentativi di assorbire i dissensi e di richiamare alla linea, la frattura, già aperta giovedì, è diventata una voragine. I dalemiani hanno nascosto a mala pena la rabbia, ma è chiaro che nei 98 voti in meno si sommano più rese dei conti.

I renziani, ha affermato il modenese Matteo Richetti, avrebbero visto un "segnale" contro il sindaco di Firenze, che aveva affossato Marini, Giuseppe Fioroni se la prende con Renzi che rottama "come un giornale vecchio" l' ex premier dopo la bocciatura e con Nichi Vendola che sponsorizza Prodi. D'altra parte, oltre che il Pd, sembra esplosa anche l'alleanza con Sel, che giovedì ha votato Rodotà rompendo, secondo i dem, i patti siglati in campagna elettorale. E, in un gioco di veleni, si arriva a pensare ad un asse Renzi-D' Alema per far saltare anche Prodi e poi arrivare alla candidatura dell'ex ministro degli Esteri che dà il mandato al sindaco di Firenze. Nel vertice serale, il gruppo dirigente del partito ha cercato una quasi impossibile via d'uscita avviando i contatti con gli altri partiti (per un'intesa o su Stefano Rodotà o su Cancellieri) anche perché il segretario amaramente ha osservato che "noi, da soli, il presidente della Repubblica non lo eleggiamo". Sabato mattina, intanto, la quinta votazione registrerà l'astensione dei Democratici che comunque non abbandonano la speranza che a "pacificare" la situazione sia un bis di Giorgio Napolitano.

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