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Coop di somministrazione lavoro, la proposta di legge M5S contro caporalato e appalti selvaggi

Un testo molto interessante all'esame della Camera punta ad eliminare le storture e le speculazioni che negli ultimi due decenni sono nate intorno alle false cooeprative. Un taglio netto con il passato che non mancherà di suscitare scontento

Modena e il suo settore della trasformazione alimentare sono divenuti a livello nazionale simbolo di un fenomeno sempre più diffuso su tutto il territorio, vale a dire quello dell'appalto esterno della manodopera attraverso cooperative di somministrazione di lavoratori. Una strategia volta ad abbattere il costo del lavoro sfruttando le agevolazioni previste per le imprese di tipo cooperativo che - pur essendo pienamente legittima - ha inevitabilmente creato situazioni al limite della legalità, sempre più spesso al centro di vertenze sindacali. Da ormai due anni il tema delle cosidette "coop spurie" è balzato al centro dell'agenda politica regionale e del dibattito economico, ma poco è stato fatto sul piano normativo per pore fine a quelle situazioni di sfruttamento dei lavoratori che tuttora esistono.

Proprio in questa direzione vorrebbe andare la proposta di legge depositata (il 6 dicembre scorso, ndr) dai parlamentari del Movimento 5 Stelle, tra cui la modenese Stefania Ascari, e rilanciata in occasione del vertice tenutosi nei giorni scorsi al Ministero del Lavoro sul caso emblematico di Italpizza, dove due cooperative gestiscono ben 600 lavoratori in appalto. “La questione delle cooperative, dei contratti ‘multiservizi’, non considerati congrui dai sindacati rispetto alle mansioni dei lavoratori, è un tema noto – ha spiegato Ascari - e come legislatori vogliamo risolverlo. Per questo ho depositato, con la collega Costanzo, una proposta di legge che prevede un contratto diretto tra lavoratore e appaltante; un contratto che corrisponda effettivamente alla natura della mansione svolta dal lavoratore. Dobbiamo rivoluzionare un mondo e un sistema che troppo spesso si basa sullo sfruttamento e sull'abbattimento del costo del lavoro a danno dei lavoratori”.

Cosa propone il testo? Cardine della proposta di legge è la restrizione di quella esistente: "Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro subordinato con la società cooperativa". La norma rende quindi più vincolante il rapporto tra socio-lavoratore e cooperativa, che finora - sttando al comma 3 dell'articolo 1 della legge 3 aprile 2001, n. 142 - poteva configurarsi non solo in forma di lavoro subordinato, ma "in qualsiasi altra forma". A sottolineare questo rapporto più stringente, la legge propone quindi che "valgano tutte le regole e le tutele previste per i lavoratori e sia quindi competente il tribunale in funzione di giudice del lavoro".

Altro caposaldo della proposta pentastellata riguarda i salari e il cosidetto caporalato. L'articolo 3 prevede che ogni socio lavoratore debba "avere un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni datoriali maggiormente rappresentative" (Lega, Confcooperative eccetera) anche se, ad esempio, la cooperativa di cui è socio non aderisce a quelle stesse organizzazioni. I commi successivi puntano poi a "garantire anche la parità di trattamento tra i soci lavoratori nella distribuzione delle occasioni di lavoro". Questa parità è fondamentale se si considera che, in molte cooperative 'false', la distribuzione ineguale delle occasioni di lavoro è proprio lo strumento con cui i vertici illegittimamente premiano i soggetti a loro fedeli e puniscono i soggetti a loro contrari.

Oltre agli aspetti contrattuali, ci è poi una questione sistemica legata agli appalti, di cui si occupa il Capo II della proposta di legge, al momento però non ancora approdata in Commissione. La portata della modifica normativa - che riscrive l'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 - al è potenzialmente enorme: "Non è considerato legittimo l'appalto consistente in mere prestazioni di lavoro, salvo che l'appaltatore eserciti il potere organizzativo e direttivo esclusivamente nei confronti di lavoratori in possesso di competenze specialistiche e diverse da quelle dei lavoratori alle dipendenze del committente, tali da generare un evidente incremento di produttività e di risultati". L'idea del legislatore è quindi quella di evitare che le imprese ricorrano all'appalto "di massa", come appunto nel caso modenese di Italpizza. Inoltre, la proposta reintroduce la solidarietà tra committente e appaltatore nell'ipotesi di appalti interni a un ciclo produttivo, rendendo così l'impresa responsabile "in solido insieme alla cooperativa a corrispondere ai lavoratori utilizzati nell'appalto un trattamento minimo economico e normativo non inferiore a quello spettante ai lavoratori alle dipendenze del medesimo committente".

L'obiettivo è dunque far sì che il committente non abbiapiù interesse a scorporare una parte della sua organizzazione produttiva per darla in appalto a costi ridotti, in quanto rimarrebbe comunque responsabile di quei lavoratori come se fossero suoi dipendenti. Un taglio netto con il passato che non mancherà di sollevare proteste da parte del mondo imprenditoriale, posto che la legge proceda nel proprio iter parlamentare, inevitabilmente legato alla precarietà che la legislatura di matrice giallo-verde dovrà affontare nei prossimi mesi.

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