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Da Prignano a Dubai, il percorso culinario del giovane chef Nabil Bakouss

Vincitore del campionato mondiale di cous cous di San Vito Lo Capo nel 2018 e concorrente di Top Chef nel 2021, ripercorriamo insieme allo chef di Nabil Bakouss le esperienze, i ricordi e gli aneddoti più significativi del suo internazionale percorso culinario

Da Prignano a Dubai, passando per Sassuolo, Milano, Londra e Arabia Saudita. Ma anche Australia, Imola, Tunisia e Marocco. Questi i luoghi vissuti da Nabil Bakouss, il giovane chef cresciuto “a tortellacci e cous cous” a Prignano, tra i monti dell’Appennino modenese, fondatore di cucina e(t)nica, un tipo di cucina paladina di valori quali identità, etica e autenticità.
Vincitore del campionato mondiale di cous cous di San Vito Lo Capo nel 2018 e di Top Chef nel 2021, ripercorriamo insieme a Nabil le esperienze, i ricordi e gli aneddoti più significativi del suo internazionale percorso culinario.
Nabil, quando e come nasce la passione per la cucina? Da bambino o adolescente? All'interno delle mura domestiche o scolastiche? Quali sapori, profumi, piatti eri solito mangiare\cucinare in famiglia?

 

"Per chi non lo sapesse sono Prignanese al 33%. Tunisino al 33% e Marocchino al restante 33%. Inevitabilmente fin da bambino mia madre mi ha cresciuto a Tortellacci e Cous Cous, che poi lei fosse anche la cuoca del ristorante di paese è soltanto un plus. Mia madre Noura mi ha trasmesso tutti i valori del CUCINARE. Giunto il momento di intraprendere una carriera scolastica, al mio fallimento da geometra il primo anno, mi ha spinto a frequentare la Scuola Alberghiera e di Ristorazione di Serramazzoni. Ricordo che al mio ritorno dalla scuola il venerdì accendevo i fornelli in casa e li spegnevo la domenica sera prima di ritornare al convitto a scuola; uno dei miei primi esperimenti a casa è stata la pasta all’aceto balsamico e Parmigiano… un vero fallimento, anche se la famiglia ha provato in tutti i modi a nasconderlo pappandosi tutto il piatto!"
Quando hai deciso che da passione la cucina sarebbe diventata il tuo lavoro? Quali esperienze lavorative hai intrapreso in giro per il mondo? 

"La scuola è stata un vero e proprio trampolino di lancio. Nelle materie teoriche non ero molto forte, il valore dello studio l’ho capito solamente dopo. Il nostro lavoro è una passione di pratica, dagli stage che ho fatto ho sempre cercato di dare il massimo per prendere il massimo. Ho iniziato con la Famiglia della Taverna Paradiso vicino a Sassuolo (la mia dedizione era talmente tanta che spesso facevo l’autostop per tornare a casa fino a Prignano quando non riuscivo a prendere l’autobus) per poi sentire l’esigenza di andare oltre: Imola, Rimini, Milano Marittima poi Londra".

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Da queste esperienze italiane e internazionali sei solito prendere ispirazione, magari dalle varie culture culinarie dei paesi che visiti, farle tue e poi creare nuovi piatti? C'è qualche esempio? 

"Definisco la mia cucina Et(N)ica, con la N tra parentesi che specifica bene l’unione di ETICO e ETNICO: le etnie sono quelle culture non autoctone della zona dello spettatore; più semplicemente qualcosa che non fa parte della sua cultura, non indica una posizione geografica nè è discriminatorio. Il mio focus è di utilizzare sempre le materie prime etiche per fare dei piatti con un carattere etnico e offrendo l’esperienza di poter viaggiare con il palato. 
Mi ispiro decisamente molto alla cucina delle mie radici il Maghreb (che significa tramonto in arabo) ma anche a quella dei posti che ho visitato, dal Brasile alla Grecia ma anche dal deserto dell’Arabia Saudita. In una prova di Top Chef ho fatto una lasagna con ragù alla bolognese ma la carne era di cammello e lo stesso con la besciamella fatta con il latte di cammello. In questo modo ho proposto in mezzo al deserto un piatto etnico (per gli arabi) con ingredienti autoctoni".
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