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Folklore modenese | A cosa si riferisce il detto "A io fat trèinta, a faro' anch trèintun"

L'antico proverbio risale esattamente al primo luglio 1517, giorno in cui Papa Leone X si trovò ad eleggere trenta nuovi cardinali. Eppure, qualcosa andò storto

Fare trenta, fare trentuno.

A cosa si riferiscono questi numeri? Sono gli ultimi giorni del mese? Sono oggetti? Persone? 

Per risolvere il quesito ci viene in aiuto il dialetto modenese e, in particolare, un antico proverbio risalente addirittura al 1500 ma rimasto vivo nella tradizione popolare modenese sino ai giorni nostri. Il proverbio recita:

"a io fat trèinta, a farò anch trèintun" nella forma passata e futura del verbo (ho fatto trenta, farò anche trentuno)

"far trèinta, far trèintun" nella forma infinitiva del verbo (fare trenta, fare trentuno)

Cosa significa?

Il proverbio dialettale si usa per affermare che se una determinata persona ha fatto importanti sacrifici per raggiungere un obiettivo, allora sarà più facilmente in grado di fare un ulteriore piccolo sforzo per completare l'opera eseguita o per raggiungere l'obiettivo ultimo, per ottenere il risultato desiderato. Ad esempio. Se uno studente universitario ha sacrificato ore e ore di studio, energie e soldi per superare tutti gli esami e ottenere il diploma di laurea è molto facile che - volendo fare anche un master o una specializzazione - dirà: "a io fat trèinta, a farò anch trèintun".

Dal 1517 ad oggi: l'origine del proverbio

Il proverbio ha origini antiche. Risale esattamente al primo luglio 1517, quando Papa Leone X si trovò ad eleggere trenta nuovi cardinali. Una volta stabiliti ed annunciati i nomi di questi ultimi, però, si accorse di aver dimenticato una persona assai meritevole di ricevere la Porpora. Il Papa decise allora di nominare un trentunesimo cardinale, nonostante la cerimonia fosse ormai conclusa, pronunciando la frase che sarebbe rimasta nella storia: "chi ha fatto trenta può fare anche trentuno".

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