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Un modenese alla Dakar, intervista al pilota Honda HRC Paolo Ceci

A sfidare i 13 giorni di gara estrema della Dakar ci sarà anche un modenese, Paolo Ceci, che nel suo quinto anno di questa gara leggendaria monterà in sella ad una Honda HRC. Oggi è anche testimoniale provinciale dell'Avis

L'Avis della provincia di Modena ha un nuovo testimonial, si chiama Paolo Ceci ed è uno dei migliori al mondo nel motorally. Una storia, quella di Paolo, che non può non essere racconata. Iniziata la sua esperienza nel 1992, dal 2004 compete in gare internazionali di grande prestigio, come il Rally del Faraone e della Tunisia. Nel 2008 è vice-campione della 450 e nel 2010 fa la sua prima Dakar, dove prova l'esperienza della sfida estrema, sicuramente la più importante del mondo. Nelle sue quattro Dakar si è sempre confermato non solo nella top 20 per arrivo, ma soprattutto il primo tra gli italiani. E' per questo che la Dakar del 2015 la approccera sulla Honda HRC, una delle moto candidate alla vittoria.

Ecco la nostra intervista a Paolo Ceci.

Sei di ritorno dal Marocco e dalla Francia, eri in preparazione per la Dakar? Sì esatto. A fine Settembre ero in Marocco per le prove del campionato del mondo e ho ottenuto il 9° posto e poi sono subito partito per la Francia dove abbiamo fatto uno shooting fotografico di presentazione. Adesso i meccanici dell'Honda HRC stanno facendo gli ultimi ritocchi alle moto e sarò pronto per partire per la Darkar.

Avis ti ha scelto come testimoniale per la nostra provincia, lo desideravi? Ne sono rimasto molto felice, sia come donatore abituale di sangue sia come sportivo che con gioia vede il proprio lavoro portare i frutti desiderati. Il presidente Avis di Prignano sulla Secchia mi ha chiamato e mi ha chiesto se ero interessato a fare il testimonial provinciale e io ho subito accettato perchè credo molto in ciò che l'Avis sta facendo. Infatti avrò sulla mia giacca per la Dakar anche il simbolo di Avis.

Paolo Ceci - motorally in Provenza

Cosa ti aspetta alla Dakar? Una sfida molto difficile e molto lunga, un'esperienza davvero estrema. Si tratta di 9.000 km da percorrere in 13 giorni in territori impervi su una media di 3.000 metri di altezza e raggiungendo il picco di 4.600 metri. Fare 700 km al giorno per quasi due settimane non è così facile e la preparazione è stata molto importante. 

Quale sarà il tuo ruolo? Alla Dakar ogni squadra ha 5 piloti e la strategia funziona un po' come nel ciclismo, tre piloti consentono agli altri due di arrivare alla fine e vincere. Ovviamente se i nostri due piloti di punta, Joan Barreda e Paulo Goncalves, riusciranno a raggiungere facilmente le prime posizioni e mantenerle, allora per noi tre si apre la competizione e potrei riuscire a raggiungere posizioni importanti. 

Cosa consiglieresti ad un giovane che volesse intraprendere questo sport? La cosa più importante è trovare una scuola qualificata. Con l'attuale vita professionale nelle corse ho dovuto interrompere la mia attività di insegnante di Enduro e Motorally, ma da maestro posso assicurare che sono fondamentali l'esperienza, la preparazione e l'educazione alla protazione. Mi piace questo mondo e lo consiglio a qualsiasi giovane perché è uno sport pulito, senza doping, dove si vive nel vero spirito di solidarietà. 

Qual è stata la tua gara più estrema? Più estrema ancora nessuna, forse quella di quest'anno mi metterà di più alla prova. Perciò non ho ancora avuto paura in gara, però sicuramente la più grave è stata nel 2009 in Sardegna durante il campionato mondiale, in cui sono caduto male, per fortuna mi sono rotto solo l'ulna del braccio sinisstro. 

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