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FestivalFilosofia | Identità e protesi nel'ulima lezione di Vegetti Finzi

Le protesi, meccaniche o biologiche, stanno ridefinendo nuovi confini dell'umano: "Tra la vita e la morte, tra me e me. Non sono più solo meccaniche. Anche gli organi espiantati e trapiantati, un fegato, un cuore, un midollo, vengono utilizzati come protesi, cose". Cosa diventa l'identità in tutto questo? è il tema scelto dalla psicologa Silvia Vegetti Finzi per parlare dell'impatto della tecnologia nella vita umana e ai giornalisti, in sala stampa a Modena, anticipando la sua lezione di domenica alle 21 sulle 'dissolvenze dell'identità' con cui darà l'addio al Festival, ha parlato del caso Bebe Vio che in una recente intervista si è definita 'fatta di tecnologia'. 

Eppure "quest'antinomia corpo-protesi non sempre va cosi- ha detto la psicologa- ne nasce un soggetto tutto nuovo e per questo c'è bisogno di una nuova bioetica. Da vetero femminista- ha aggiunto- credo che le donne in tutto questo debbano avere un posto in prima fila per la loro eccezionalità biologica: sono gli unici esseri viventi che accolgono un diverso nel loro corpo senza reazioni avverse" come accade nel rigetto comune ad organi o impianti esterni. Ridefinire l'identità è la sfida portata da questa tecnologia che tocca i corpi, partendo sempre dal monito freudiano per cui 'la potenza incontrollata diventa impotenza' e per questo l'accademica si è detta cauta e "non favorevole ad un'accettazione incontrollata del progresso tecnologico che può travolgerci". 

E' quindi necessario un lavoro di pensiero sull'impiego di protesi nel corpo e di organi impiantati e questo riguarda tutte le parti del corpo, "a maggior ragione per la faccia- ha detto rispondendo all'agenzia Dire sul primo trapianto di volto eseguito in Italia da Fabio Santanelli di Pompei e Benedetto Longo al S. Andrea di Roma- perchè la faccia è la nostra persona e 'persona' in latino significa maschera: quindi la nostra maschera è la nostra faccia ed è la sintesi dell'io identitario. Terribile per questa donna- che ha avuto un rigetto- rimanere senza faccia: è una condizione tragica di perdita dell'identità e in questo caso la paziente che attende un nuovo trapianto- ha concluso Vegetti Finzi- immagino indosserà una maschera, questa volta in senso 'teatrale' però e non nell'accezione latina". 

(DIRE)

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