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Domenica, 28 Aprile 2024
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Omelia di San Geminiano: "Libertà e uguaglianza necessitano anche della fraternità"

Il testo dell’Omelia dell’Arcivescovo Erio Castellucci pronunciata questa mattina durante la Solenne Celebrazione Eucaristica delle ore 11,00 in Duomo a Modena

“Tutto è connesso”, continua a ripetere papa Francesco, e ne fa quasi un ritornello nelle sue grandi encicliche, dalla Laudato si’ alla Fratelli tutti. Esiste un legame fra gli esseri umani, un filo che unisce tra loro ogni persona e ogni popolo, ogni creatura terrena e celeste, ogni avvenimento nella storia e nel mondo. “Tutto è connesso”: nessuno può pensare di vivere dentro una campana di vetro, in una tana protetta: è bastato un virus microscopico, in questi ultimi anni, per convincere l’umanità – se ce ne fosse stato bisogno – dell’interconnessione di tutti e di tutto. Ciascuno di noi è come un intreccio di fili, di relazioni: nel nostro corpo e nella nostra mente sono incise tutte le connessioni possibili. Il corpo è una rete fittissima fatta di elementi materiali: atomi, molecole, cellule e organi; la mente è una rete fittissima fatta di relazioni, ricordi, affetti, intuizioni, ragionamenti e decisioni; l’anima è una rete fittissima fatta di domande di senso, orizzonti che superano il visibile, inquietudini che cercano Dio.

“Tutto è connesso”: materia, intelletto, spirito. Eppure mai come oggi, dobbiamo confessarlo, abbiamo l’impressione contraria, che tutto sia sconnesso. Le crisi che stiamo attraversando, e che si addensano l’una sull’altra in un groviglio terribile e inestricabile, sembrano proprio dirci che “tutto è sconnesso”. Le decine di guerre in corso, tra le quali l’ultima, sciagurata, dovuta all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, ma anche le guerre nello Yemen e nella Siria, che hanno causato centinaia di migliaia di morti, con il loro corredo di feriti, distruzioni e malattie, continuano a sconnettere tra loro gli esseri umani, le fedi e i popoli; lo sfruttamento e l’inquinamento sconsiderato del pianeta non fa che aggravare la crisi economica, particolarmente acuta nell’ultimo quindicennio anche a causa di una spregiudicatezza finanziaria che prescinde dall’economia reale; guerre, terrorismo, desertificazione e dittature aumentano il numero dei profughi, alla ricerca di condizioni pacifiche e vivibili per se stessi e per le loro famiglie; e la povertà, compresa la fame e la sete, accresce la massa delle persone malate. Le grandi crisi del XXI secolo, sono dunque intrecciate tra di loro: crisi economica, migratoria, ambientale, sanitaria, bellica: ma è un intreccio che sconnette gli esseri umani.

"Armi che distruggono e armi che edificano", la lettera di mons. Castellucci per San Geminiano

Di fronte a questa situazione prende un senso di scoraggiamento. Possibile che non impariamo nulla dalla storia? Possibile che ogni generazione debba sempre ricominciare da capo, quasi che le esperienze passate siano state messe in archivio? No, non è possibile. Grazie a Dio, moltissime persone, organismi e istituzioni reagiscono a questa sconnessione universale, che condurrebbe all’autodistruzione dell’umanità e di tutte le forme viventi. Come reagiscono? Assumendo, spesso senza saperlo – parlo di persone di ogni cultura e religione – lo stile incarnato da Gesù: uno stile che unisce ciascuno al tutto, nella logica del dono. Nel Vangelo appena proclamato ritorna per cinque volte l’aggettivo “ogni”, che racchiude in una sola parola l’attenzione all’intero, “tutto”, e al singolo, “ciascuno”. “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi”, dice Matteo: e significa tutte e ciascuna; lo stesso termine ritorna altre quattro volte, tradotto con “ogni”: lui in persona guariva “ogni malattia e ogni infermità” e diede anche ai discepoli il potere di guarire “ogni malattia e ogni infermità”. Il Signore non contrappone il “tutto” al “ciascuno”, ma per lui “ogni” persona connessa al “tutto”. Il suo stile è proprio quello di connettere ciascuno e tutto.

Nel corso della storia, i sistemi sociali e politici non sempre hanno evitato il rischio di ondeggiare tra un’ideologia che fa perno sul singolo a scapito del bene comune, favorendo l’individualismo, e un’ideologia che fa perno sul tutto a scapito del singolo, favorendo il collettivismo. L’individualismo porta alla legge della giungla, dove il più potente, il più ricco o il più spregiudicato finisce per sopraffare chi possiede meno risorse e si trova ai margini della società. Il collettivismo porta alla legge dello zoo, dove si spegne l’iniziativa personale, si entra in una convivenza forzata e compressa dalla ragion di Stato, spesso fissata dal dittatore di turno. I sistemi individualisti esaltano una libertà selvaggia a scapito della giustizia sociale; quelli collettivisti esaltano una giustizia egualitaria e imposta a scapito della libertà personale. Pare insomma che sia proprio difficile integrare il “ciascuno” e il “tutto” e arrivare all’”ogni” testimoniato da Gesù.

Libertà e uguaglianza, oggi è sempre più chiaro, necessitano anche della terza sorella: la fraternità. La cosiddetta triade della rivoluzione francese, che affonda le radici sia nell’antica Grecia sia nel cristianesimo, va presa tutta insieme, se si vuole assicurare una pace vera. La libertà senza le altre due scade nell’arbitrio del più forte, l’eguaglianza senza le altre due scade nella gabbia della tirannia; la fraternità senza le altre due scade in un vago e inefficace sentimentalismo. Gesù ha interpretato come pochi altri, nella storia, l’interconnessione di questi grandi valori. Ha portato una verità che fa liberi (cf. Gv 8,32), combattendo peccato che rende schiavi e lasciando sempre libere le persone di seguirlo e meno, di credergli o meno; ha lottato ed è morto per una giustizia che assicurasse a ciascuno e a tutti, secondo il Vangelo del regno, la possibilità di una vita degna, a cominciare dalle persone svantaggiate. Ha considerato fratelli e sorelle tutti coloro che incontrava, sentendo “compassione” – come dice il Vangelo di oggi – per le folle stanche e sfinite.

San Geminiano è la festa dei cittadini, non solo cristiani, e la festa delle istituzioni. Nel nostro patrono, per quanto sappiamo dalla storia e dalla tradizione, si concentrano i tratti dello stile del pastore di cui parla il Vangelo di oggi: predicazione liberante del regno, impegno contro le ingiustizie e il male, legami di fraternità e di pace. Una delle fatiche più grandi, per chi ha ricevuto il mandato di esercitare l’autorità pastorale – e lo dico pensando a tutte le istituzioni oggi rappresentate – è quella di connettere “tutti” e “ciascuno”. Spesso chi guida le comunità sociali, comprese quelle cristiane, deve far fronte a tendenze individualiste, che guardano solo al perimetro dei propri piedi, dimenticando il bene comune; e talvolta queste tendenze, pur esprimendo esigenze autentiche, diventano incapaci di pensarsi “connesse” agli altri e rivendicano la loro verità, mettendo in giro informazioni false e tendenziose. Chi ha la responsabilità della comunità, di qualsiasi comunità, sente il dovere di mantenere le “connessioni”, cercando di dosare il bene individuale con il bene comune. Incoraggiano le tante, davvero tante, persone che ogni giorno compiono il loro dovere, si impegnano per costruire una convivenza più bella e più giusta, creando “connessioni” profonde nella società e nella Chiesa. Fanno meno rumore di chi vuole “sconnettere”, ma lavorano in profondità: sono gli “operatori di pace”.

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