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Cronaca

Aemilia, la corte d'Appello; "Bianchini sapeva di lavorare con la 'ndrangheta" 

Per i giudici l'imprenditore introdusse consapevolmente i mafiosi negli appalti pubblici. Confermata la condanna per concorso esterno

Augusto Bianchini "appare oggi un uomo stanco e sconfitto, e tale probabilmente è per l'età, i malanni e le vicissitudini giudiziarie, ma è stato un imprenditore di successo, titolare di un'azienda edile di primario rilievo, che, probabilmente in un periodo di difficoltà economica, o forse anche per bramosia di maggiori guadagni, ha ceduto alla tentazione di scendere a patti con la 'ndrangheta". Con queste parole i giudici della Corte d'appello di Bologna motivano la condanna a nove anni dell'imprenditore modenese per vari reati, in primis il concorso esterno in associazione mafiosa, nella tranche del processo d'appello di Aemilia svoltasi con rito ordinario. Bianchini, scrive il collegio presieduto dal giudice Alberto Pederiali, ha messo in atto le sue condotte criminali trattando con gli 'ndranghetisti "da pari a pari, intraprendendo affari con la 'ndrangheta nella piena consapevolezza che, perseguendo il proprio interesse, realizzava però anche quello della criminalità organizzata impiantata oramai nel territorio emiliano, accrescendone il grado di infiltrazione nel tessuto economico e con ciò il prestigio".

Da qui la decisione di confermare nei suoi confronti -pur assolvendolo dall'accusa di caporalato per la quale era stato condannato in primo grado assieme alla moglie Bruna Braga e pur accordandogli un lieve sconto di pena rispetto ai nove anni e 10 mesi decisi dai giudici di primo grado- la condanna per concorso esterno.

Bianchini, secondo i giudici, aveva infatti rapporti "con individui che poi sarebbero risultati esponenti di rilievo del sodalizio criminoso assai risalenti nel tempo", e anche "a voler ammettere che fin verso la fine del 2011 potesse effettivamente non conoscere la natura di quelli che erano venuti ad essere i suoi interlocutori", da quel momento in poi "non può più sostenere di non aver compreso la natura 'ndranghetista dei soggetti con i quali stava sempre più intrecciando i suoi destini". Bianchini, quindi, secondo il collegio era ben consapevole di avere a che fare con dei mafiosi anche, ad esempio, nel momento in cui collaborò con Michele Bolognino nell'ambito di una "vicenda di illecita intermediazione di manodopera o, se si preferisce (come sembra preferire la difesa degli imputati), di subappalto mascherato di lavori", per i lavori di ricostruzione dopo il terremoto del 2012. Rispetto ad altri imprenditori emiliani "che pure si rivolgeranno alla 'ndrangheta nella convinzione di poter con essa risolvere loro problemi", Bianchini però si distingue perché "è un imprenditore di notevolissimo rilievo e soprattutto, a differenza degli altri, può offrire grandi occasioni di partnership e di guadagno per il sodalizio criminoso".

Per questa ragione, sottolineano i giudici, "diversamente dagli altri più modesti imprenditori che rischieranno e a volte diventeranno essi stessi vittime degli 'ndranghetisti cui si erano rivolti, si mostrerà sempre in grado di trattare con i suoi interlocutori da una posizione di sostanziale parità, conservando sempre quale stella polare del suo operato, in primo luogo, il perseguimento del proprio interesse".

Né si può dubitare, secondo la Corte, che con le sue condotte l'imprenditore "abbia fornito un proprio concreto, specifico, consapevole e volontario contributo tale da comportare un qualche efficace risultato per la conservazione, l'agevolazione o il rafforzamento delle capacità operative del sodalizio criminoso". Bianchini, si legge infatti nelle motivazioni, si è "deliberatamente e consapevolmente messo in affari con Bolognino nelle vicende relative all'ampliamento del cimitero di Finale Emilia e in quelle concernenti l'utilizzo di manodopera messagli a disposizione dal Bolognino per i lavori nei cantieri del post terremoto", e in quei casi "ha consapevolmente e concretamente contribuito a introdurre Bolognino e sue manovalanze in lavori pubblici, cui mai Bolognino avrebbe potuto avere accesso presentandosi in proprio". L'imprenditore, dunque, "ben sapendo chi è Bolognino, e addirittura consapevole che a quei lavori è interessato anche Nicolino Grande Aracri, introduce con piena consapevolezza e volontà la 'ndrangheta nei lavori pubblici della zona di Modena", e lo fa "indubbiamente, in primo luogo, per un interesse proprio, ma al contempo è consapevole che così agendo favorirà quel mondo imprenditoriale mafioso, di cui Bolognino è esponente, riconducibile al sodalizio 'ndranghetista stanziatosi nei territori emiliani".

(DIRE)

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