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Viaggio nel tempo | Vino senza uva? A Modena era possibile

Dall'Archivio Storico del Comune di Modena, la ricetta del vino perpetuo senza uva, inventata dal modenese Prof. Grimelli

Immaginereste mai di recarvi all'enoteca e ordinare un vino senza uva? Forse qualche fantasioso riuscirà nell'impresa, i tradizionalisti faranno più fatica. Ma in questo caso l'immaginazione è stata trasformata in realtà nel 1854 dal Modenese Prof. Grimelli che inventò la ricetta popolare del vino perpetuo: un metodo di produzione che alterna "svinature e rivinature metodiche" per poter soddisfare i bisogni più ordinari, ma anche rifornire armate e cittadelle "risparmiando la farragine immensa di magazzini e depositi vinarii liquidi". Tre sostanze fondamentali (il fermento, il fermentabile e il fermentorio) mescolate con acqua e farina e regolate nelle quantità con una "Tavola di ragguaglio" dettagliata con due unità di misura: la libbra modenese e il chilogrammo. 

L'utilità al giorno d'oggi non sembra molto chiara, ma per chi volesse cimentarsi nell'esperimento, ecco di seguito la Ricetta Popolare del vino perpetuo:

"La vera natura e definizione del vino aule liquore fermentato, della fermentazione vinosa come processo organico, dei fattori di simile processo perpetuabile, tali fondamenta scientifiche raggiunte dal nostro Prof. Grimelli lo hanno condotto a un Metodo Pratico per fare Vino senza uva e perfettamente simile a quello dell'uva, cominciando dal vinetto più ordinario e comunale ed elevandosi fino al liquore più raro e sontuoso con ogni economia e salubrità. Utilissime e vantaggiose prove e risultanze già in corso fra noi, specialmente in ordine al vino ordinario e comune stato dell'Autore dichiarato, per ogni parte, coll'intendimento e desiderio che riesca a sollievo del popolo laborioso, e dei più indigenti. Egli è quindi siffatto vino del quale ora vuolsi qui dichiarare la ricetta popolare in un con una tavola di ragguaglio dei suoi fattori per farlo e rifarlo, in via di mosto vinoso, da una minima quantità di una sola libera fino anche a un milione di libbre.

Primieramente occorre il fermento, che suscita e mantiene la fermentazione vinifica, il quale preparasi di leggieri con lievito panario fresco ossia colla ordinaria pasta lievitata del pane comune rimpastato con orzo tostato stantio cioè lasciato, dietro la tostatura biondeggiante, sfumare finché sia svanito ogni alito o odore di bruciato o cotto. Epperò si rimpastino il lievito e l'orzo in parti circa eguali con acqua comune di buona qualità potabile, o meglio con acqua aromatizzata mediante la infusione della medesima di qualche sostanza aromatica gradita, come fiori o erbe verdi o secche ritenenti il loro aroma anche in istato di disseccazione, quali di sambuco o verbasco, di sclarea o basilico ecc. Per tal modo ottiensi un fermento composto di qualità conformi a quello che trovasi nell'uva, e che riscontrasi commisto a principii coloranti, non che aromatici, verso la periferia dell'acino, aderendo alla superficie della sua buccia.

In secondo luogo occorre il fermentabile, su cui viene suscitata è mantenuta la stessa fermentazione alcoolica vinosa, il quale preparasi con adatta materia zuccherina composta di zucchero di canna o barbabietole, due terzi almeno, e di miele comune un terzo o un quarto assieme rimescolati. Giova che lo zucchero sia puro come il cristallizzato bianco, e che il miele sia purgato allungandolo e feltrandolo con acqua comune all'uomo anche aromatizzata alla maniera suddetta. Di tal guisa ne risulta fermentabile zuccherino glucoso di qualità consimili a quello dell'uva, che riscontrasi nel parenchima ossia intima sostanza dell'acino ben maturo.

Per terzo occorre il fermentorio consistente nel liquido acconcio ad accogliere e ritenere, a promuovere ed attuare il fermento e il fermentabile in azione e reazione vinifica ossia vinificatrice. Tale liquido riducesi ad una acquosa soluzione salina acidula e tanninica colorata, la quale preparasi appunto con acqua comune potabile, infondendovi entro un centesimo circa di un composto di ghianda tostata e di cremore tartaro a parti presso che uguali, ovvero in difetto di cremore preparasi anche simile composto impastando parti eguali di ghianda pure tostata e cenere comune, mediante un acido vegetabile o succo acido, così che l'impatto riesca acidulo. L'acqua or accennata quanto meglio discioglie i sali del cremore tartaro, o i congeneri risultati dalla associazione del succo acido colla cenere, in un coi principii tanninica della ghianda tostata, tanto più addiviene somiglievole alla base liquida del succo dell'uva.

Il fermento, il fermentabile, il fermentorio, allestiti, si associano e rimescolano fra loro, nelle quantità proporzionate di uno di fermento, di dieci di fermentabile, di cento di fermentorio, quali appunto si ravvisano entro il succo d'uva, in forma di dissoluzione emulsiva costituente e rappresentante il mosto fermentescibile in vino. Quindi il fermento si stempera col fermentabile, e l'uno e l'altro si versano ed espandono nel fermentorio, risultandone così una massa mostosa che si dispone in tre strati l'uno inferiore sedimentoso, l'altro medio emulsiva, il terzo superiore sollevato a Foggia di cappello. E siffatta massa, alla temperatura in sui quindici gradi del termometro comune di Reaumour, comincia a fermentare ben presto entro le ventiquattro ore, assumendo i caratteri vinosi nel torno di una settimana, è più o meno presto a seconda della maggiore o minore superficie esposta al contatto immediato dell'aria atmosferica.

Quindi il recipiente o tino, entro cui si colloca il mosto vinoso, di qualsiasi materiale e forma, giova offra la minor superficie del mosto stesso al contatto immediato dell'aria atmosferica. Ella è in ragione di questa superficie che s'avvia la fermentazione e che volge alla trasformazione acida, quale però si ritiene col sistema della rivinificazione giornaliera, specialmente, nei recipienti di bocca stretta. Questo sistema consiste nelle svinature e rivinature metodiche e successive col sussidio di una farina rivinificatrice, decantando poi il vino cavato ossia travisandolo entro la giornata per chiarificarlo ad uso famigliare e raccoglierne ogni sedimento acconcio a buon aceto da cucina e da tavola.

La farina rivinificatrice preparasi con una parte costante di materiale farinaceo zuccherino, e con un decimo in complesso di farina frumento o altro simile cereale, o altrettali parti saline. Siffatta farina poi infondesi, in un coll'acqua, entro la massa vinosa da una dramma ossia un ottavo d'oncia a una oncia circa per ogni libbra d'acqua introdotta nel vino, e più o meno a seconda che trattasi di vino più o meno generoso. Però la farina stessa, in dose di un'unica per ogni libbra d'acqua, risulta sufficiente a rivinificare i vini ben generosi, mantenendone ogni loro proprietà mercè le proporzioni adatte fra gli ingredienti della prefata farina rivinificatrice.

Frattanto qui aggiungesi una tabella di ragguaglio per fare e rifare il vino in discorso, cominciando dalla minima quantità di una libbra e procedendo fino alla cospicua quantità di un milione di libbre, per soddisfare così ai bisogni più ordinarii e alle inchieste più comuni. E certamente quantità minori o superiori i due posti estremi non potrebbero essere richieste che, per l'una parte, o da uno sperimentatore vago di osservare ogni processo relativo nelle minime quantità possibili, e per altra parte da chi incomber deve alla provvisione o di eserciti o di cittadelle. Così è infatti che, pel discorso metodo del vino perpetuo, le armate e le cittadelle possono essere rifornite del vino occorrevole colla provvisione delle farine vinifiche e rivinificatrice, risparmiando la farragine immensa di magazzini e depositi vinarii liquidi". 

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