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Folklore modenese | Il menù delle feste con i "pès putanèin"

Cosa si mangiava per la Vigilia di Natale o all'ultimo dell'anno nella Modena del dopoguerra? Niente tavole imbandite di leccornie e abbondanti portate, bensì i pès putanèin

Nella Modena del dopoguerra non esistevano i cenoni di Natale o dell'ultimo dell'anno. Si soleva mangiare insieme, sì, ma con un pasto umile, solitamente a base di piccole anguille e pès putanèin, pesciolini azzurri d'acqua dolce che venivano comperati nei mercati a poco prezzo. Questi venivano poi fritti interi, magari avvolti da una pastella di farina, e conditi con aceto bianco e aromi per poi essere sgranocchiati durante il pasto serale. Se rimanevano avanzi, i pès putanèin venivano conservati sott'olio o sott'aceto.

Ma come mai venivano chiamati pès putanèin?

Il termine - rigorosamente in dialetto modenese - deriva dalle parole "pesce" (pès) e "bambini" (putinèin, poi trasformato in putanèin), poichè venivano pescati e venduti nei mercati di Modena solamente i "cuccioli", i "piccolini" del tipico pesce azzurro d'acqua dolce.

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Altri esemplari di pesce d'acqua dolce che si solevano cucinare nella provincia modenese erano il pesce gatto, importato dall’America del Nord all’inizio del Novecento, il luccio che veniva mangiato quasi esclusivamente lessato per via delle sue tante spine e l'anguilla che veniva preparata in umido accompagnata dalla polenta. 

Infine, tra i prodotti ittici del modenese si possono citare anche le rane, presenti ancora oggi nelle cucine di trattorie tipiche servite ancora come una volta: fritte e belle croccanti. 

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